venerdì 18 luglio 2008

Sul pulman

Un impulso elettrico scatta nella rete di neuroni ancora addormentati, si fa strada lungo vie nervose paralizzate a causa della nebbia lasciata dagli ultimi brandelli del sonno, l’interesse si risveglia, Torino vista dal pullman imprigionato fra le macchine riacquista colore, la ragazza è seduta dall’altra parte, legge Calvino, non solleva lo sguardo, e come ipnotizzato la osservo, fuori sono immobile, dentro le mie cellule si stanno agitando in un convergere di curiosità, di domande, di tentativi di seduzione, mentre il pullman sembra scivolare lento, non più costretto fra le macchine, ma in perfetta sintonia con esse, come se si muovesse su rotaie cosparse di olio, i palazzi austeri è come se si piegassero verso di me, si sporgessero con curiosità nei finestrini per osservare la mia prossima mossa, agitassero i balconi e ammiccassero con le finestre per incoraggiarmi.
A fatica, come temendo di incrinare il fluire di movimenti perfetti, mi strappo dal sedile per obliterare il biglietto, in realtà per passarle vicino, vedere i riflessi rimbalzare dai suoi occhi ai capelli, e cercare di intrappolarne almeno uno, ma il pullman frena di colpo, inciampo quasi, è una fermata, lei scende, i palazzi si rialzano sdegnosi, guardandomi come se avessi perso un’occasione, e ora il pullman è di nuovo nella prigione delle macchine, e i miei impulsi elettrici girano a vuoto, freneticamente, come elettroni che hanno smarrito l’atomo.

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