venerdì 18 luglio 2008

Chat.

In una piazza anonima, i cui unici segni distintivi erano strani lampioni circolari, un uomo ed una donna si scrutarono sorpresi.
L’imbarazzo, la timidezza, così diversa dagli incontri virtuali li bloccò ad un ruolo convenzionale, di incontro d’affari fra amici poco calorosi “ ciao tu sei andrea” “ sì e tu mara, come va?” “ bè oggi fa un po’ più freddo del solito…” “ e appena ci vedremo sentiremo che ciò che unisce ci spinge l’uno verso l’altro, non ci sarà bisogno di parole, ci capiremo senza nemmeno respirare…”: si guardarono e videro negli occhi degli altri quello che pensavano fosse desiderio, quel desiderio di cui avevano così a lungo parlato, desiderio che per loro non era conciliabile con l’amore, per cui non avevano tempo, solo un breve incontro per scaricare le tensioni, sentirsi soddisfatti, pensarono amaramente entrambi, ora che si trovavano lontani dagli schermi stranianti ma protettivi dei computer, le loro emozioni sembravano essere più trasmissibili facilmente tramite il modem “ vedi sono stato sposato, ma poi ci siamo lasciati, senza figli, ma soprattutto senza niente più da dirci, non poteva durare così, eravamo entrambi sempre fuori, e scaricavamo in casa quell’aggressività che dovevamo inghiottire fuori, o almeno canalizzarla, e non so cosa cerco adesso, forse un incontro, magari uno solo, con una donna che mi piaccia veramente..” lui, ricadendo nel suo ruolo di perfetto ed infallibile organizzatore, disse che aveva prenotato una camera, e le chiese, arrossendo per l’evidenza di quella domanda, se voleva salire o fare prima quattro passi per conoscersi meglio, e sperò, contrariamente a quanto aveva sempre pensato, che scegliesse una passeggiata: lei sentì lo stesso desiderio, bisogno di intimità disperata “ non sono mai stata sposata, ho avuto qualche storia con dei miei colleghi, ma niente di importante, e adesso non cerco nessuno con cui recitare stupide frasi d’amore, ho solo bisogno di sentire del calore contro il mio…”,ma pensando di non poterselo permettere, gli chiese di salire subito nell’hotel, e si sentì quasi una puttana, e avvertì la stupidità per l’evidenza e quasi l’aspettativa di quelle parole e per consolarsi, lo analizzò criticamente e vide che era un po’ più vecchio di come pensava, più curvo, quasi grigio “ sono ancora giovane, cerco di mantenermi in forma, anche se forse sono le preoccupazioni a rendermi più vecchio, a farmi invecchiare..” “ forse per me è la solitudine, non ho mai avuto il coraggio di guardare veramente con coinvolgimento, partecipazione, le persone che erano intorno a me al di fuori del mio personale interesse, di quello che mi potevano servire..”“ …persino con i miei genitori, ormai li ho collocati in un istituto per persone anziane, e vado a trovarli ogni tanto la domenica…” ma ormai le doveva piacere, tirarsi indietro avrebbe voluto dire pronunciare delle parole, e di quel momento si sentiva come bloccata: i due si diressero verso l’albergo, superando poche case scarsamente illuminate, con pochi viandanti che si muovevano, una coppia veloce che si affrettava, chiusa nella bolla dei loro pensieri, lui leggermente indietro che sembrava sognare un passato o un futuro felice, lei davanti, più distante quasi a volersi nascondersi nei fiocchi di neve che stavano incominciando a scendere: entrambi li invidiarono, anche se “ però ci incontreremo solo per, per….” “ per riscaldarci un po’..” “ esatto, non andremo al cinema assieme, voglio dire, niente cose che ci possano sottrarre la nostra indipendenza..” “ o il nostro tempo..” ma si riscossero, in quanto quasi travolti da un ragazzotto foruncoloso che era uscito con un rossore arrogante da un portone e che in bicicletta ora si allontanava veloce, per sfuggire alla neve o forse solo al fiore di noia che aveva colto.
Osservavano tutto ciò intorno a loro, anche perché non riuscivano a sostituire il linguaggio virtuale con quello vero, entrarono veloci, quasi ora avvicinandosi, forse per inerzia, ma di nuovo separati ora dalla chiave maliziosa consegnata dal portiere assonnato sotto il berretto illuminato dalle luci dell’ingresso, la donna per sottrarsi allo sguardo inquisitore si avvicinò con una sorta di stanchezza all’ascensore, lui la osservò nell’atrio vuoto e vide che non era “ bella e desiderabile, così ti immagino, ricca di fascino, non certo di quello delle ragazzine, ma l’esperienza, l’abitudine ad una vita solitaria, imponente come una nike della solitudine” forse tutto ciò c’era stato, una volta, ma ora quella fierezza da lui immaginata, si era come appesantita, forse perché ormai diretta per altri scopi che non fossero quelli della cura di sé, però era ancora piacente, si convinse a pensare.
Entrati nell’ascensore, l’atmosfera di imposta famigliarità spinse l’uomo ad accarezzarle i capelli, dapprima con lentezza quasi timoroso della reazione della donna, ma il suo sorriso lo spinse ad andare avanti “ e quando toccherò i tuoi capelli sentirò di averti raggiunto, di aver carpito ciò che sei, e all’inizio sarà importante anche solo questo, un semplice, lento scivolamento dei tuoi capelli fra le mie dita, una lieve pressione che indicherà non un senso di possesso, sarebbe troppo impegnativo, ma solo la gioia di vederti di persona” , a scendere lungo la giacca leggermente spiegazzata, che lei quasi con un senso di vergogna, si aggiustò, il sorriso tuttavia perdurava, anche se adesso come sospeso, e lei sentì che lui doveva fare qualcosa, ma se fosse stata la mossa sbagliata se ne sarebbe andata, infischiandosene di quella strana storia, lei non avrebbe mai immaginato di poter diventare così, voleva che lui compisse un’azione da….non sapeva, doveva essere lui a fare, sentiva la necessità di abbandonarsi “ e quando avrò il bisogno di sentirmi protetta allora verrò da te” si ricordò di quando aveva scritto quella frase, ma non l’aveva mandata, non voleva che quel momento di debolezza, nell’appartamento in cui si propagava come unico suono il lento respiro di suo padre, il ronzio del computer, a sottolineare impietoso che la vita era ormai lontana da lì, ma ora non le importava, chiuse gli occhi in attesa, ma lui non seppe mai il pericolo scampato, si salvò o si rovinò grazie a una coppia che era entrata con una bambina a cui entrambi sorrisero, contenti di distrarsi da se stessi con quel nasino tutto raffreddato che rappresentava l’innocenza da loro persa, e che stavano per perdere per sempre: superato il momento di imbarazzo entrambi sentirono di doversi avviare, retrocedere era ormai impossibile, si avviarono verso la porta verde, quasi natalizia nella sua serratura d’oro finto: entrarono, l’uomo chiuse la porta, la chiuse a chiave, quasi per guadagnare ancora tempo, poi si voltò “ saremo soli ed io ti desiderò, non avrò bisogno di spogliarti in fretta, come amanti alla prima avventura: ci conosciamo già.. “ io riesco a vederti, vedere il tuo corpo, e sono sicura che non proveremo la minima esitazione…” e la vide così vicina che fu spinto ad accarezzarle il volto, per un momento entrambi dimenticarono i giudizi di poco prima, i commenti che magari avrebbero fatto con gli amici o con una bottiglia di vino caddero come le giacche, ma subito fu evidente la stranezza perché le loro lingue si intrecciavano, si rifugiavano l’una nella bocca dell’altro, ma quelle stesse lingue non avevano mai parlato veramente, quelle lingue erano terribilmente vere, quelle di internet solo false, e ora si legavano, ma come rallentate: forse non se ne vollero rendere conto, si spogliarono con avidità che scambiarono con passione, e paragonavano i corpi che incontravano con quelli descritti, immaginati, esaltati “ ci siamo già descritti fino all’esaurimento, ora penso che possiamo trovarci, incontrarci di persona….” Con quella richiesta, che ad elaborarla di persona, ci avrebbe messo secoli ora era lì, pensava lei a stringersi quell’uomo, a cadere insieme a quel letto, a rimanere nudi, pensava lui, a cercare di strappare un po’ di piacere, a scendere fino a confondere i suoi capelli con i peli del suo sesso, a cercare di comportarsi come suggerivano in quelle riviste da aspiranti marines-uomini-d’affari-calciatori, a cercare di allungarsi, stirarsi in modo provocatorio, proprio come voluto dal suo settimanale preferito, lei non si tolse l’orologio, lo levò a lui rivelandone il tatuaggio involontario che vi rimaneva, quasi un simbolo di schiavitù, rimase lì, ad osservarli, a scandire il tempo mentre lui si stendeva sopra di lei “ e quando ti avrò allora sarò sicuro che tutto questo tempo non è passato invano, che con te sarò riuscito a rendere completa una vita non così…” “ soddisfacente? Non ne sarai il centro, ma di certo un…diversivo…” un diversivo non lo aveva scritto, ma ora la verità di quella parola gli si presentò davanti, stava facendo l’amore con un diversivo?, mentre lei era sempre più impassibile, l’orologio, che vedeva fra i capelli dell’uomo che abbracciava le ricordava il tempo che avrebbe potuto trascorrere meglio, lavorando, leggendo, guardando la tele, parlando con suo padre, e di solito questa azioni che le sembravano inutili, nella stanchezza eterna che di nuovo la prese le sembrarono desiderabili, la situazione stava diventando assurda, costretti, inchiodati su quel letto dalla forza delle convenzioni che li spingeva a piegarsi l’uno sull’altro, quando il telefonino che squillò imperioso, a ricordare il mondo di fuori, li fece sobbalzare, e non seppero se era lei che lo aveva spinto con una forza millenaria fuori, o che lui con orgoglio e vergogna di secoli l’aveva lasciata, ormai erano entrambi inerti, incapaci di piacere “ e quando raggiungeremo l’orgasmo insieme sarà stupendo, riusciremo a capirci di più così, che parlando per ore” “ cercheremo insieme di rendere questo incontro indimenticabile…” lui avrebbe voluto mormorare piccole ed assurde parole di scuse, lei di fargli capire che non pensava che la colpa fosse sua, anzi, ma che dovevano riprovare, magari partendo da altre basi, ma si chiese perché con quell’uomo che conosceva a stento, che giaceva vicino a lui, ormai nuda, il suo impulso di coprirsi, legato alla vergogna iniziale, si era dissolto, aspettava una parola, ma vedeva solo quel corpo, disteso nudo, per averlo pensava potesse bastare quella camera squallida, quel letto che adesso rivelava in pieno la sua natura volgare, come aveva potuto pensare che una cosa del genere la avrebbe soddisfatta "e dopo forse parleremo di noi, oltre a quello che avevamo già detto, di ciò che proviamo dopo, della prospettiva diversa ”
Continuavano a rimanere in silenzio, poi ebbero lo stesso pensiero, si protesero verso i cellulari, frugarono, ora buffamente inginocchiati, nei vestiti non troppo piegati, come se incisi da una passione insufficiente, ma ancora troppo lontani, riemersero le osservazioni di prima, le spietate osservazioni fatte da chi come loro non si getta più nei sentimenti, ma li osserva con un sorriso dissacratorio in faccia, ma entrambi non avevano ricevuto chiamate, il trillo era uno stupido messaggio di sport arrivatogli, che parlava del campionato di baseball americano, rimasero lì seduti per terra, continuavano a non parlare, lentamente si rivestirono, quasi aiutandosi a vicenda, e forse provarono più piacere, per assurdo, nel fare ciò, ma era solo il desiderio di rientrare nei loro soliti ruoli, la fretta, che li prese, di legare i bottoni, annodare cravatte, tirare cerniere: ormai rivestiti rimasero davanti, senza dirsi niente “ e quando ci saluteremo il sorriso che ci scambieremo sarà la certezza che ci rivedremo, che continueremo a ricordarci di tutto ciò…” con una smorfia lei disse “ non ha funzionato, forse non era destino..” amaro “ già, abbiamo sbagliato, forse è meglio se per un po’ non ci sentiamo più” “ sì è meglio, lo penso anche io, anzi se vuoi che dividiamo il prezzo della camera….”
L’ultimo affronto alla loro intimità fu quella frase, che spinse entrambi ad uscire di fretta, si separarono nella via, quasi senza una parola che non fosse un ciao che restò nell’aria, lei si sentì quasi sporca, per analogia pensò ad uno stupro, ma come poteva pensare, l’aveva voluto, alla fontana si lavò con nervosismo le mani, il contatto con l’acqua fredda la rese più lucida, si alzò, scosse la testa e si allontanò verso casa, mentre vedeva la macchina di lui che sembrava sempre più piccola, lungo il viale in cui l’uomo subì le tentazioni delle prostitute, pensò di fermarsi, un prova della sua virilità ma si riscosse, il problema non era quello, voleva solo andare a casa ed il sorriso tinto di rossetto di una donna mimetizzata sotto un ombrello bianco, quasi un ombrellone, cui si avvicinò ma da cui scappò di nuovo fu sempre la cosa che associò a quella serata.

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