lunedì 16 febbraio 2009

Dietro al banco.

C'è molto clamore intorno a me, alla mia bancarella dove tutti i giorni, da cinque anni, dalla morte di mio padre, mi nascondo dietro montagne di frutta per far passare i miei giorni. Non amo molto parlare con gli altri commercianti, partecipare ai loro lazzi, alle loro rivalità, tuttavia il mio modo di fare attira molto clienti, o forse semplicemente è la qualità delle frutta che coltivo, appena fuori dalle mura.
A volte, feroce, sento la nostalgia della mia vita di prima, delle battaglie, di quando portavo lo stendardo dei miei ideali in giro per il mondo, di quando non mi facevo domande. Ero un soldato, un soldato del mio paese, servivo uno dei più grandi generali del mondo, e per il resto non c'erano dubbi fra la mia spada ed i miei nemici.
Ora la gente continua a correre, strane sensazioni mi pervadono, ma fuori il sole di questo inizio di primavera è cocente, sotto la mia tenda mi sento protetto: meccanicamente porgo delle mele alla servitrice di una grande famiglia, il suo sguardo rivela la voglia di parlare, ma il freddo che invade i miei gesti bastano a distoglierla.
E' il gelo che, lo so ormai bene, precede sempre il ricordo di quel giorno. Un'azione secondaria, volevamo una vittoria facile, quasi per scacciare la noia di quella fase di stallo. Avevamo scelto come obiettivo una cittadina: poche case, una vita tranquilla, ordinata, che fluiva lenta, al riparo delle montagne. Forse fu proprio per questo che incontrammo una resistenza superiore alle attese, come se stessimo scardinando un meccanismo perfetto. E allora fu la rabbia: uccisi gli uomini, visti e contati i nostri morti, non ci trattenemmo più. Dopo ore di saccheggio, stanchi, tremanti per la rabbia, ci allontanammo lasciando dietro di noi un cimitero di fiamme. In quei momenti non provavo nulla, ero svuotato di ogni idea ed energia, provavo ondate di odio e di repulsione per me stesso, e in fondo speravo in una punizione feroce.
Ma lui, il nostro generale, che avevo sempre idolatrato, venuto a conoscenza dei fatti atroci, non disse nulla, si limitò a scrollare le spalle, e proseguì con i suoi piani di onnipotenza.
Quella notte, appena seppi della decisione del mio generale, abbandonai per sempre l'esercitò: nessuno mi venne a cercare, la mia fedeltà e ciò che avevo fatto bastava a scoraggiare anche i più ottusi funzionari.
Tornai a casa cambiato, quasi ammutolito ed ingrigito: per fortuna non ebbi il tempo di pensare, la morte di mio padre aveva alterato anche il sorriso pieno di dignità di mia madre, e così incominciai a lavorare, ferocemente, per non pensare.
All'inizio amavo il lavoro in campagna, e odiavo le attese sotto il tendone del mercato: quella gente era così simile a quelle che avevo ucciso, violentato e violato, mentre la terra accoglieva ogni mio colpo di zappa con pietà, quasi a voler farmi dimenticare. Poi col tempo, l'abitudine ha avuto la meglio, ma oggi la gente è inquieta ed anche io non riesco a dimenticare.
Con uno scatto mi alzo da dietro il banco, mi infilo fra la folla, finchè vedo un mio vecchio compagno, uno di quelli che era con me: mi guarda stravolto, quasi non mi riconosce da dietro il suo elmo da generale, poi mi afferra per il vestito, io sono spaventato e mi dice " L'hanno ucciso, l'hanno ucciso...", poi si accascia al suolo. Alcuni lo soccorrono, io invece avanzo, forse non voglio capire, non riesco ad analizzare la situazione, non riesco a contare mentalmente i fatti, a disporli in ordine come faccio con i miei ortaggi, finchè non vedo un uomo calmo fra la folla, e le sue prime parole mi attraggono" Amici, Romani, cittadini, prestatemi orecchio,io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.............."ma poi le lascio sfumare, sento velenosa la promessa mascherata di una nuovo guida, un uomo nuovo che da solo decida per tutti, e allora mi allontano dalla folla, in direzione ostinata e contraria.

sabato 3 gennaio 2009

buon anno


I pini marittimi incorniciano il mare
che accoglie i fuochi artificiali
fumanti di gioia,
un winnie the pooh delle giostre,
stolidamente sorridente,
si confonde fra la folla appagata.

Lontano, pur bagnati dallo stesso mare,
i razzi feroci di Hamas e gli aerei di Tzahal,
violano l'intimità del nuovo anno,
sgretolando la tranquillità,
così effimera, delle onde.

lunedì 29 dicembre 2008

Guidando.

Cambi i paesaggi che inquadri dal finestrino
secondo la rapsodia delle marce del tuo animo:
li rallenti in una placida estate,
a strappi cerchi la velocità singhiozzante dei temporali.
Valli accoglienti di cui non desideri la fine,
ponti e persone sospesì,
pura proiezione di ciò che sei al momento:
comunque non fanno domande,
ti accolgono senza pretese,
file temporanei dei tuoi ricordi,
mentre scorri da aspettative non realizzate
ad altre da consumare,
e sotto di te la strada sorniona si allunga,
a proiettarti orizzonti impossibili.

mercoledì 26 novembre 2008

Passante.

Il sole disegna ogni giorno un'ombra un pò più curva,
rallenta l'incedere di cappello e soprabito d'ordinanza,
indaga con la curiosità animale dei giovani la vecchia cartella lisa,
in cui non ci sono che poche foto ingiallite:
tutti i giorni si vede inscenare la solita commedia,
col sorriso trepidante di dover chiedere scusa,
pensionato che continua a recarsi al lavoro dei suoi ricordi.

martedì 25 novembre 2008

Se sono rimasti a posto persino i sassi nei vostri viali.

Sentirmi me stesso, separato e diviso dagli altri, forte della mia identità calda e liquorosa: il timore dell'aria improvvisamente fredda che avvertivo per la prima volta, la mancanza della non esistenza e delle non sensazioni mi accompagnavano, mentre perdendo e acquistando continuamente sbuffi di non individualità rotolavo lungo la colata lavica. Enorme la curiosità, il tentativo di espandersi sempre, la terra che da una macchiolina lontana diventava grumosa e spaventata sotto di me, sotto di noi: già il primo cedimento, già tornavo a confondermi con la massa uterina che devastava il fianco del vulcano.

Altra violenza, calore sudore: il colpo di piccone che mi ha riportato in vita è stato violento, senza mediazioni, immediato e freddo. Lo aspettavo trepidante, dopo che per lunghissimo tempo alcune minuscole particelle di me avevano conservato il ricordo di quel sole annerito, del freddo, della paura dell'albero che avevamo inglobato. Coccolato dall'uniformità, viziato dall'assenza di decisioni da prendere, di responsabilità e di scoperte avevo contemplato quei ricordi come un refolo di identità e di diversità. Ora ero di nuovo io, rinforzato dalle mani dell'artigiano che mi creò limitandomi e dandomi certezze, squadrandomi con pochi colpi netti e gettandomi poi in un carro con molti miei simili, cubi rosati che fremevano curiosi.

Di nuovo l'immobilità per anni: incastonato in una strada, vivo in modo latente. Vedo scorrere la vita sopra di me, non vi posso partecipare e forse neppure vi voglio. Altra cosa è vagheggiare un'identità protetto da un'uniformità inglobante, altra cosa ben diversa è strapparsi dalla massa, agire in prima persona, assorbire solo su di sè i colpi dei carri, dei sandali, masticare il sudore della vita di tutti i giorni. Meglio cercare l'appoggio di altri, scaricare le pressioni tutti assieme, lasciare che sia la massa a prendere le decisioni, rifuggirle per la paura di perdere la propria geometrica perfezione. A volte la mia individualità, spinta forse ancora dal fuoco che ci ha generato prende il sopravvento e oeso i passi sopra di me, voglio intuire se l'elasticità che vi imprimono è data dalla forza o dalla rabbia: la fame li rende rapidi ma poco potenti, l'opulenza mi soffoca, leggiadri i passi delle donne accolgo, mentre sfuggo le lance lucenti dei soldati. Ma tutti questi attimi di vita, di consapevolezza durano poco: a lungo andare il mondo reale mi spaventa, mi rende perplesso e mi rifugio nell'indeterminatezza soporosa della massa.

Il lancio, fatto con forza improvvisata, mi stupisce: anni, secoli mi avevano fatto sprofondare nell'oblio, oceani di vita erano passati sopra di me, diventato indifferente per lo spegnersi lento della fiamma della mia curiosità. Ora una mano mi afferra, mi scrolla di dosso la muffa dell'indifferenza e della noia, sento le bandiere, gli slogan, le grida, mi sento esposto come non sono mai stato, ho il dubbio che di nuovo non stia seguendo una mia decisione, ma è la rabbia che mi spinge, nell'arco che disegno ho la sensazione di essere finalmente compiuto, perfettamente realizzato, finchè mi abbatto, frantumando i miei sogni sugli scudi di plexigas dei privilegi eterni.

martedì 18 novembre 2008

Dalle mie montagne

Le nuvole sfilacciano
l'ombra del brulicare delle città,
confondono astute il desiderio e la paura di scendere,
scaldati dai dubbi che arroventano gelate certezze:
a volte fuggi, desideroso di umanità,
sempre torni ricoperto di impolverato sdegno:
ti illude il vento, che non gioca più con te
ma sempre più cinico,
di nuovo,
ti soffia giù.