martedì 25 novembre 2008

Se sono rimasti a posto persino i sassi nei vostri viali.

Sentirmi me stesso, separato e diviso dagli altri, forte della mia identità calda e liquorosa: il timore dell'aria improvvisamente fredda che avvertivo per la prima volta, la mancanza della non esistenza e delle non sensazioni mi accompagnavano, mentre perdendo e acquistando continuamente sbuffi di non individualità rotolavo lungo la colata lavica. Enorme la curiosità, il tentativo di espandersi sempre, la terra che da una macchiolina lontana diventava grumosa e spaventata sotto di me, sotto di noi: già il primo cedimento, già tornavo a confondermi con la massa uterina che devastava il fianco del vulcano.

Altra violenza, calore sudore: il colpo di piccone che mi ha riportato in vita è stato violento, senza mediazioni, immediato e freddo. Lo aspettavo trepidante, dopo che per lunghissimo tempo alcune minuscole particelle di me avevano conservato il ricordo di quel sole annerito, del freddo, della paura dell'albero che avevamo inglobato. Coccolato dall'uniformità, viziato dall'assenza di decisioni da prendere, di responsabilità e di scoperte avevo contemplato quei ricordi come un refolo di identità e di diversità. Ora ero di nuovo io, rinforzato dalle mani dell'artigiano che mi creò limitandomi e dandomi certezze, squadrandomi con pochi colpi netti e gettandomi poi in un carro con molti miei simili, cubi rosati che fremevano curiosi.

Di nuovo l'immobilità per anni: incastonato in una strada, vivo in modo latente. Vedo scorrere la vita sopra di me, non vi posso partecipare e forse neppure vi voglio. Altra cosa è vagheggiare un'identità protetto da un'uniformità inglobante, altra cosa ben diversa è strapparsi dalla massa, agire in prima persona, assorbire solo su di sè i colpi dei carri, dei sandali, masticare il sudore della vita di tutti i giorni. Meglio cercare l'appoggio di altri, scaricare le pressioni tutti assieme, lasciare che sia la massa a prendere le decisioni, rifuggirle per la paura di perdere la propria geometrica perfezione. A volte la mia individualità, spinta forse ancora dal fuoco che ci ha generato prende il sopravvento e oeso i passi sopra di me, voglio intuire se l'elasticità che vi imprimono è data dalla forza o dalla rabbia: la fame li rende rapidi ma poco potenti, l'opulenza mi soffoca, leggiadri i passi delle donne accolgo, mentre sfuggo le lance lucenti dei soldati. Ma tutti questi attimi di vita, di consapevolezza durano poco: a lungo andare il mondo reale mi spaventa, mi rende perplesso e mi rifugio nell'indeterminatezza soporosa della massa.

Il lancio, fatto con forza improvvisata, mi stupisce: anni, secoli mi avevano fatto sprofondare nell'oblio, oceani di vita erano passati sopra di me, diventato indifferente per lo spegnersi lento della fiamma della mia curiosità. Ora una mano mi afferra, mi scrolla di dosso la muffa dell'indifferenza e della noia, sento le bandiere, gli slogan, le grida, mi sento esposto come non sono mai stato, ho il dubbio che di nuovo non stia seguendo una mia decisione, ma è la rabbia che mi spinge, nell'arco che disegno ho la sensazione di essere finalmente compiuto, perfettamente realizzato, finchè mi abbatto, frantumando i miei sogni sugli scudi di plexigas dei privilegi eterni.

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