venerdì 15 agosto 2008

Come una corda tesa

Finito il pranzo la perpetua guarda don Mario scuotendo la testa: vede la figura grassoccia e famigliare del prete con cui vive da più di trent’anni dirigersi non più verso la sua poltrona preferita, come di solito faceva, ma verso il computer. Il prete lo accende, con fare ancora insicuro, in fondo ha imparato ad usarlo da poco, mentre in modo pensoso accarezza un grosso volume rilegato in pelle un po’ lisa. La perpetua sa già come lo troverà il giorno dopo, ancora addormentato sulla sedia, con il libro, che ha scoperto essere il registro parrocchiale, vicino ed il computer ancora acceso, che ronza dolcemente vicino a lui.
E’ da un po’ di sere, infatti, che Mario naviga fra i nomi, quelli del passato che ha visto crescere e che vivono spesso solo più nei suoi ricordi e quelli del presente, registrati ormai direttamente sul computer, con cui parla e si confronta tutti i giorni.
Oggi, scorrendo distrattamente le pagine, cerca in modo quasi inconsapevole le prime note scritte su quel libro dalla sua vecchia penna stilografica, il regalo dei suoi genitori per il suo nuovo incarico da sacerdote. Le sue dita accarezzano una data in particolare: 13 dicembre 1944. Quel giorno le ultime unghiate della guerra lo avevano coinvolto da vicino. Lui era un giovane prete e anche se era arrivato da poco in quel paesello, ben presto aveva sentito parlare di un pugile, Maurizio, una vera e propria leggenda locale, l’uomo più forte delle Langhe, dicevano.
Ebbene il giorno in cui i fascisti erano venuti a prendere il padre di Maurizio per portarlo via, per fucilarlo o per torturarlo, suo figlio, quell’uomo enorme che da tempo non subiva una sconfitta sul ring, non aveva esitato ed era subito corso in suo aiuto. Tuttavia era disarmato e i suoi grossi pugni non erano riusciti né a stringere né a fermare le pallottole che lo avevano crivellato. Non più si erano uditi gli urrah del suo pubblico, mentre ancora ogni tanto nella memoria e nella mente di Mario risuonano questi interrogativi: avrebbe potuto fare qualcosa, non aveva avuto il coraggio di frapporsi oppure aveva semplicemente evitato una vittima in più inutile?
E’ da un po’ di tempo che sono queste le domande che si affrontano nella sua mente: da una parte gli eserciti ordinati delle idee quotidiane, delle mille incombenze da svolgere, dall’altra la guerriglia scaltra dei dubbi e degli interrogativi.
Non vuole stendere bilanci, a quelli ci pensano gli altri, cerca di estrarre un significato da ciò che ha fatto, di cercare il filo di Arianna, perchè è forte la curiosità di vedere cosa lo attende all’altro capo. Vista la sua abitudine, la sua propensione a confrontarsi con gli altri, vuole farlo andando a riannodare i ricordi delle vite che si sono intrecciate con le sue.
Forse il primo a mettergli in testa quest’idea è stato Giuseppe, un altro nome del suo librone, un suo amico fraterno. Aveva avuto una vita dura: il lavoro nella panetteria di suo padre, scelta impostagli dalla necessità di mantenere sé e la sua famiglia, il forte rimpianto per non aver mai potuto studiare, l’orgoglio feroce per la figlia, che era riuscita a laurearsi a Torino. Ma più di tutto era sempre stato grande l’amore per il suo paese, e per la casa che aveva costruito:ne era fiero, l’amava più della moglie, come Mario a volte bonariamente gli ricordava. Per Giuseppe non era solo una semplice casa di campagna, ma la prova che era riuscito a dirigere con mano ferma la sua vita fra i sacchi di farina, il calore feroce del forno d’estate, la sveglia ad ore impossibili. Il sacerdote socchiude gli occhi e capisce ora, forse meglio che in passato, ciò che voleva dire l’attenzione ai particolari dell’amico, la stessa che ora lui riserva ai dettagli della propria vita.
Lui non vuole chiedersi se ha costruito qualcosa; certo un nuovo oratorio, molte amicizie, l’affetto sicuro di qualche persona, ma rimane sempre un fondo di ansia in agguato al dì là nelle ombre della notte, che né la Bibbia né la tranquillità delle abitudini quotidiane riescono a rischiarare del tutto.

Altre ombre, invece, gli avevano allontanato tutta una generazione, i cui nomi, vicini fra loro, cerca sul vecchio registro quasi con riluttanza: Luca, Lorenzo, Martina e poi anche Chiara, Elisa e Francesco. Il fascino delle nuove idee che spirava dalle università di Torino alla fine degli anni Sessanta aveva allontanato i suoi ragazzi migliori, che tornavano al paese con parole, vestiti, musiche e sogni totalmente nuovi, che non comprendevano più né lui né ciò che lui rappresentava.
Quello era stato uno schiaffo molto forte al suo orgoglio: per la prima volta si era sentito in balia di forze più grandi delle sue. Il suo lavoro entusiasta ed indefesso con quei ragazzi non era servito quindi a nulla? Niente era rimasto nelle loro menti?
Certo, deve ammettere con un sospiro, mentre si sgranchisce le braccia, ora molti di loro sono suoi parrocchiani, ma tutte le volte che li vede non riesce a non provare il senso, anche se ormai latente, di sconfitta. E’ un po’ non voler ammettere di non riuscire ad incidere sulla realtà, lui che aveva scelto di fare il prete proprio per cambiarla. Ma poi si cambia la realtà? O i suoi sono solo sogni, solo un po’ diversi da quelli colorati di quei ragazzi?
Invece, e ora i suoi pensieri cambiano tono bruscamente, la sua vecchia amica Federica non era mai riuscita a leggere con chiarezza la realtà, soprattutto quando si trattava del suo unico figlio, Giacomo, dirigente molto influente di un’ASL locale: vedere i loro nomi sulla carta gli provoca sempre un po’ di smarrimento e di rammarico. Quando Giacomo era stato travolto da uno dei tanti scandali che periodicamente scuotevano la politica locale, lei, troppo fiera del figlio per ammettere che potesse sbagliare, era andata nel suo ufficio per distruggere i documenti che pensava potessero comprometterlo. Mario scuote la testa, ancora sorpreso in cuor suo da quella donna orgogliosa, un tempo di sicuro bella, che aveva vinto la riservatezza custodita all’ombra delle colline da lei tanto amate per esporsi in tal modo: e non riesce ad immaginarsi la sua reazione di fronte ai carabinieri che l’avevano sorpresa e denunciata. Ci doveva essere altro, oltre all’amore senza limiti per Giacomo: forse il senso di un rigore morale ed etico che si era allentato col tempo, inseguito ormai anche fra i vigneti da lei tanto amati dai lupi affamati dell’arrivismo sfrenato
Mario decide bruscamente che quegli interrogativi sono troppi per una fredda serata autunnale, e cerca calore nello schermo freddo del computer, che gli elenca una serie di nomi, alcuni dei quali per la prima volta di extracomunitari. Sorride amaro quando pensa ai telegiornali che soffiano sul fuoco dell’atavica ed insopprimibile paura del diverso, lui stesso ha dovuto lottare contro pregiudizi che non credeva si nascondessero in lui. Forse in questo campo è riuscito a migliorare qualcosa, anche se l’aiuto più grande gli è stato dato da Andrei e dalla sua famiglia, i cui nomi ora gli sorridono dallo schermo. Andrei è arrivato, come muratore, in quel piccolo paese durante l’alluvione del 1994 e la sua dedizione, la sua infaticabilità hanno dato la prima spallata al muro di ignoranza reciproca: sorride quando pensa a rumeni e langaroli coperti dal fango, indistinguibili, uniti dalla stessa fatica e dalla stessa urgenza.
E’ stata l’ennesima volta in cui Mario ha visto la sua gente dimostrare di saper lottare fino in fondo, anche se alcune sere, la sensazione straniante che avvolge l’anziano sacerdote è quella di una corsa il cui fine, il cui scopo ultimo gli è ignoto.


http://it.wikipedia.org/wiki/Mombasiglio

1 commento:

theuncle ha detto...

ciao caro..ritrovare il tuo modo di narrare è sempre un piacere....e poi quei nomi...