sabato 18 ottobre 2008

Arrivare alla specchio.

Era la seconda volta che Paul si faceva la barba: stirandosi al massimo sulla punta dei piedi, arrivava a stento allo specchio. La prima volta si era tagliato tutto e sua sorella, di poco più grande l‘aveva preso in giro a lungo poi però gli aveva regalato una nuova schiuma da barba. Con quella un collage di articoli contro la guerra in Vietnam: proprio lo stile di sua sorella. Sempre con la testa persa in qualche strano progetto, in posti lontani: lui in quei giorni non sapeva nemmeno cosa era il Vietnam, il suo orizzonte era la strada piena di sole dove si affacciavano la casa dei suoi e dei suoi amici, ma soprattutto era anche la voglia di crescere e di andare, da qualunque parte, magari proprio con Mary..mah..erano bei sogni..e intanto si era di nuovo tagliato e rimase un attimo a fissare quel po’ di sangue che spariva nel vecchio lavandino.

Certo adesso non si tagliava più come una volta, pensò Paul mentre veloce si metteva la cravatta si faceva la barba: era nella sua stanza all’università, e quel giorno avrebbe avuto un importante colloquio di lavoro. Era per un importante gruppo finanziario americano, e sua sorella aveva avuto molto da ridire sull’eticità della scelta: quella parola era per lui quasi nuova, eticità era far bene il proprio lavoro, poi non è che lui poteva cambiare il mondo:intorno al piccolo tavolo della cucina si era discusso fino a tardi, si erano lasciati male, poi però lei gli aveva regalato un nuovo rasoio, con la scatola piena di etichette a favore di Carter contro Nixon: la campagna elettorale era prossima, ma lui era infiammato dalla possibilità del lavoro e soprattutto dal sorriso di Jane che lo aspettava subito dopo il colloquio.

Era un giorno importante, il più importante della sua vita (d’altronde glielo avevano ripetuto tutti da un bel po’) e proprio quel giorno si era tagliato di nuovo con la lama del rasoio, cosa che neanche quando era piccolo: guardò irosamente il rasoio, che lo fece pensare a sua sorella, che era tornata dal suo lungo viaggio in India per il suo matrimonio. Si erano incontrati il giorno prima, come erano sembrati diversi: lui e Jane pieni di vita, giovani e brillanti, lei precocemente stanca quasi impolverata da tutta la strada che aveva fatto, ma sempre con il gusto della battuta: ma ora basta, era tempo di incamminarsi lungo quella giornata piena di sole.

La mattina presto, nella sua cucina“ Guarda non ce la faccio più: il lavoro i bambini mia moglie, non ho neanche un attimo solo per me.. “perché non venite un week end qui, nella nostra vecchia casa: ce ne stiamo un po’ tranquilli…” “ ok sento mia moglie e ti dico, poi devo vedere il capo..” “ ho letto sul giornale che stai diventando importante..” “ sì ci stiamo espandendo, sai la sensazione inebriante di cavalcare un’onda di…” di cosa…?” “ di poter cambiare qualcosa: ti ricordi una volta ne parlavamo, ora con un clic sposto milioni di dollari e ..” “ e pensi che quello sia il cambiare qualcosa?.”ecco di nuovo quella sensazione, sua sorella lo spiazzava sempre, tutte le volte che lui pensava di aver raggiunto un punto di certezza c’era sempre un che di nuovo, un nuovo gradino da superare, in fondo fin da piccoli era il loro gioco preferito ” va bè non parliamone adesso ti richiamo dopo per…”

Era strano radersi con estranei: lui lì era fuori posto, non c’entrava nulla, ma ormai aveva imparato che certe cose in quel ramo delle prigione di New York non andavano ripetute troppe volte. La sua storia mal si accordava con i tatuaggi, con la ferocia, a volte solo con la povertà e con la lucida follia della gente che vedeva intorno a sé: capivano fin troppo bene, ma loro avevano vissuto ben di peggio della banale storia di un uomo che aveva perso tutto. Il lavoro ovviamente, perché chi altri avrebbe mai riassunto un manager che viola le regole in modo così prevedibile?. Lui era un peso medio, era esattamente uno come lui che cercavano per fargli scontare anni di fallimenti. La famiglia, sua moglie certo gli era vicina, però si era come irrigidita, tutta in difesa dei loro figli, tesa a garantire loro che non sarebbe cambiato nulla: per lui invece sarebbe stato un altro giorno pieno di regole e di umiliazioni, e per la prima volta non riusciva a vedere un orizzonte di fuga davanti a sé.

Questa volta arrivava allo specchio, che quella pazza di sua sorella aveva semicoperto di adesivi “ yes we can!: e lui questa volta aveva deciso di crederci, di lasciarsi trascinare in quell’altra folle avventura, e così da giorni, girava per le strade, accompagnava quella colta e stravagante donna di mezz’età in giro per scuole, supermercati strade. Non lo ammetteva, ma per lui era un’anestesia: la moglie si era allontanata, doveva pensare a se stessa, glielo avevano detto tutti, era giusto così: lui non aveva la forza di rifletterci, aveva paura di tagliarsi con la verità: meglio allora la sorella, che si stava accalorando in discussioni con la vicina di casa, fervente repubblicana? Scrollò il rasoio, si guardò: ci avrebbe pensato, non adesso, ma questa volta si sarebbe fermato a pensarci: cullandosi con questa idea, si avviò verso una nuova giornata, colma di punti interrogativi che lo avrebbero solleticato.

mercoledì 15 ottobre 2008

Entropia.

Le mani avide dei bimbi chiudono,
accarezzandoli, gli occhi dei vecchi,

specchi di memorie dubbiose,
tendono verso l'infinito le corde invisibili delle galassie

per scagliare la freccia del tempo nel cuore rugginoso di Dio,
bersaglio che sfuma nel profumo d'incenso della tua infanzia.

sabato 27 settembre 2008

S.

Mentre i soldati li cercavano, Burma pensava, spaventato, al colore intenso della cuffia di sua nonna: gli era sempre piaciuto, quel tocco arancione di giovinezza sbarazzina che incorniciava le rughe, ma ora spiccava pericolosamente intorno al verde marcio dell'erba fredda. I soldati avanzavano metodici, ma anche un pò distratti: saccheggiato il villaggio, placata la fame di violenza, sesso e sangue e soldi, solo le urla isteriche di un grasso sergente li spingevano ancora verso le ultime colline dietro di loro. Lì, fra quello ombra fredde, erano nascoste una decina di persona, scappata dalle casa più lontane, mentre già i fucili violavano il tranquillo scorrere della vita in quel paesino.

Eppure Burma i luoghi dove la storia viene cesellata li aveva sempre immaginati come solenni, un sottofondo di profumo di incenso, e di odore di vecchie e rassicuranti pergamene, mentre solenni uomini togati, in modo meravigliosamente distaccato, vergavano i mille affannosi tentativi della vita degli uomini che brulicava lontano da loro. Bè lì non era così: l'aria condizionata spazzava via ogni odore e profumo, i traduttori automatici freddi riportavano, in molte lingue ma senza sfumature, risposte che erano tutt'altro che certezze. L'uomo sotto processo, che parlava dall'altra parte del vetro antiproiettile, nell'ambiente asettico del tribunale dell'AIA, era apostrofato come un capo di stato, o un volgare assassino. Dipendeva dall'accento di chi gli si rivolgeva, dai suoi ricordi, da cosa aveva perso o guadagnato in quella guerra di oramai parecchi anni prima. Non assomigliava ad un mostro, come Burma si ricordava da certe immagini di propaganda, ma semplicemente c'era quella sensazione di assurda familiarità, un pò straniante vista la vicinanza, che si ha sempre con i volti che ci scrutano dai giornali, su cui lui e la sua famiglia avevano cercato, sempre più ansiosamente, di leggere il proprio destino.

" Bè sai quel viaggio all'AIA non me lo dimenticherò mai.." ne stava parlanda per l'ennesima volta alla sua ragazza. Lei non era molto curiosa delle sue origini slave, ormai annacquate dagli anni passati a Firenze. Glielo aveva detto subito, da quando il suo sorriso gli riempiva le ore, e aveva anche compreso, con naturalezza, i suoi genitori. La loro faticosa lotta per un pò di dignità, in un paese nuovo, che li vedeva come una minaccia e aveva cancellato con un tratto di penna tutto la lora vita, i loro lavori precedenti, aveva indurito i loro tratti, li aveva quasi resi più "riconoscibili", dio, quanto si era odiato, anni prima ormai, per quella parola. Bè lei nemmeno non gli aveva mai chiesto perchè si portasse dietro una piccola cuffia arancione, strappata dal sorriso di sua nonna dagli ultimi spari, quasi lenti e pigri di quella giornata ormai lontana. Ora invece, il mondo dietro le vetrine del bar era popolato dalla gente che danzava per sfuggire ai proiettili della pioggia: era in giorni come questi che i miagolii dei suoi ricordi, salivano con maggiore vigore dal sottoscala della sua memoria. " A cosa stai pensando?" mentre si chinava verso il suo sorriso, Burma penso che sì, forse con lei si poteva costruire qualcosa di sicuro, qualcosa con cui mettersi in salvo dal freddo e spietato antivirus della storia.

Su internet cercava febbrilmente, da quasi più di un'ora, le foto dell'ennesima guerra in una regione sperduta del Caucaso. Il cerchio alla testa gli rendeva le immagini confuse: le foto che vedeva, dal salotto della sua nuova casa, odorante dei giochi di sua figlia e del suo amore, entravano in conflitto con le immagini del passato. Allora come ora i sorrisi a denti stretti dei potenti circondati da modelle erano accostati alle mani rugose protese, ai sorrisi persi nei crateri dai bimbi, alle macerie della vita di un giovane uomo di fronte alla sua casa distrutta.
Si sentiva come trascinato in un vortice, strattonato fra l'estrema previbibilità di tutto ciò che sarebbe successo e la sua stessa inevitabilità, non si era mai sentito così debole ed impotente, istintivamente cercò con la mano la cuffia arancione, ormai sformata dal peso dei ricordi, ma trovò solo la manina preoccupata di sua figlia, che lo invitava ad uscire. Per un attimo si vergognò pensando ai suoi occhi rossi, poi vedendo la sorpresa dell'incanto in quelli della figlia, sorrise e scuotendo la testa, chiuse la schermata di Explorer e si allontanò con lei.

S come Storia, S come Slobodan milosevic, S come Sopravvivere, S come Resistere.

venerdì 29 agosto 2008

Post.

Appoggiato al profumo scricchiolante dell'erba appena tagliata
ti allontani dallo sfrigolio spietato del computer,
con braccia intorpidite

nutri il falò di foglie rugose
e pagine raggrinzite di internet.
Non è il rimpianto dei bei tempi andati
ma gli interrogativi sul futuro ti circondano,
schegge impazzite di file psichedelici.

lunedì 25 agosto 2008

Mare.

Imprigionato dalla cerchia delle bagnanti,
il vento mi ricorda il mare
che dal blu netto del giovane orizzonte
invecchiando scolora.
Vecchierel bianco e infermo
trascina
la paura della solitudine delle petroliere
la salsedine incattivita degli scafisti
i palloni gonfiati coi sogni persi dei bimbi,
fino ad annullarsi,
con un'ultima vibrante protesta,
nell'abissale conformismo democristiano
della spiaggia.

martedì 19 agosto 2008

Miei ricordi di viaggio

Questa è la storia di tre amici, di un cielo che è capace di mutare gli animi, dei sorrisi e delle città che ci hanno riscaldato con la loro bellezza, dei frammenti di vite e civiltà spezzate che ci hanno interrogato, della polvere, degli odori e della gente che ci ha indicato la strada.

Aarif, Fuad e Bilal sono tre bambini, sono una banda, sono un gruppo, sono una famiglia: ognuno di loro è madre, padre, nonno e sorella per tutti gli altri.
Si stringono l’un l’altro e cercano di rimanere vicini, di non perdersi nel flusso vorticoso di idee e merci, di tendoni che a stento trattengono trattative che vanno avanti dal mattino, di persone e muli che si spostano a vicenda, testardamente convinti ognuno di avere la precedenza, di angoli che ti attirano verso stradine laterali misteriosamente silenziose, chiuse alla luce ma aperte alla scoperta, per poi ripiombare, dopo una svolta, senza preavviso, fra grida odoranti di fretta e fra richiami vibranti di profumi, nel tentativo di evitare rigagnoli di provenienza indefinita e teste di animali con cui giocano i gatti, e di seguire i raggi del sole che a fatica riescono a infilarsi fra i sacchi di riso, pasta, datteri e spezie per accarezzare gli occhi velati di interesse di una donna, mentre pare che le mura e le porte tendano le proprie secolari fondamenta per cercare di trattenere lo splendore misero della medina di Fes.
Lo stesso brulichio assordante si aveva quando qui, nella prima università del mondo, si declinavano le opere dei filosofi e matematici greci secondo la legge del sole e dell’Atlante: ancora oggi, strette fra le botteghe e le moschee, si vedono antiche mederse che hanno ospitato i sogni intagliati dai libri degli studenti, nei cui cortili si sono accese passeggiate di discussioni su un passo controverso, ma oggi nessuno dei tre bambini saprebbe né leggerlo né tantomeno scriverlo.
Non hanno mai imparato, né glielo insegneranno mai: hanno capito presto di dover temere il pancione sporgente dalle fondine dei poliziotti, di dover sfuggire oscuri uomini neri, di poter cercare e far pagare ad imbarazzati turisti il pedaggio di un dyram, ma non sanno e non riescono a capire quale sarà il prezzo da scontare per il loro futuro, se riusciranno mai a diventare come quei mercanti, imprigionati nei loro negozi, da cui escono ed entrano soltanto saltando aggrappati ad una corda, oppure come quelli artigiani che costruiscono la propria vita assieme a quella degli oggetti che modellano con mani pazienti. Spesso a volte, di notte, sognano di partire, di lasciarsi alle spalle una vita da gatti, ma le mura della medina, alla luce cruda del giorno, appaiono così difficili da superare…….

Hisham, invece, guarda con impazienza a Fes e al suo futuro: è in campeggio nel posto più paradossale del Marocco, a Ozoud, dove le cascate sono come una ragazza vivave che porta il sorriso fra monotone e barbute colline.
Disteso sotto gli alberi guarda i suoi amici, sente che la loro amicizia è solida come quelle piante, come i loro i suoi denti sono intaccati dall'acqua dei poveri, ma la sua mente è assediata dagli studi fatti, che stanno scavando un fossato fra lui e gli altri: la sua intelligenza, le sue letture, come le scimmie dispettose che spesso rovesciano le loro cose, e frugano con curiosità fra i loro averi, lo spingono a criticare, a cercare di aggirare o di pungere, almeno, l’argine eretto dalla legge regale del silenzio. Vede il suo paese in bilico, lo vede come quei tronchi che spesso paiono esitare prima di precipitare nelle acque ribollenti che li aspettano, avverte la forza e l’orgoglio che arrivano da un passato grandioso, i cui echi sono possenti ancora oggi come lo scroscio delle cascate, però percepisce anche l’oscillare quotidiano fra la tentazione di rifugiarsi sotto un burqa, e la resa incondizionata al Mac Donald’s, fra la legge di Allah e quella del mercato, fra i racconti dei padri e ciò che si scarica da internet, avverte la contraddizione di cui è parte e l’impossibilità di individuare una soluzione, poi voci amichevoli lo riportano a galla come dopo un tuffo troppo spericolato e si avvicina, barcollante per il sonno e strattonato dalle scimmie dei suoi pensieri, agli amici per gustare il the alla menta come i loro padri, e i padri dei loro padri.

Samaah invece aspira all’acqua, come tutta la terra in cui vive: resiste con la sua famiglia, a Ouarzazate, in una casbah, ai confini del deserto, i cui tartari sono orde di turisti che senza ritegno marcano i loro passi pesanti sulle fragili costruzioni di argilla, fango e paglia che resistono ancorate nel deserto, un po’ come la gente che ancora ci abita, ma che rischia di essere lavata via dalle piogge sempre più sregolate e dal disinteresse. Samaah ama quella terra, la terra della sua famiglia, sa di aver bisogno di un ampio orizzonte davanti a sè, in cui rifugiarsi. Lo sanno tutti che è grazie o per colpa della sua testardaggine che vivono ancora nella casbah, sobbarcandosi viaggi faticosi su strade spesso solo un po’ più battute del deserto che paiono ancora violare, e compiendo continue riparazioni per arrestare l’erosione del tempo, per evitare l’insinuarsi strisciante e silenzioso della sabbia. Viste da lontano, le loro case paiono sorreggersi fra loro sulla collina, nello stesso modo rassicurante con cui lei e la sua famiglia, la sera, si stringono al terrapieno e contemplano il deserto di rocce che gioca per loro con il vento.

Vorrei ora, adesso lo stesso vento di grida, di amicizia, di spazi infiniti e di luoghi racchiusi, di vita e annichilimento per essere confuso e guidato.