sabato 27 settembre 2008

S.

Mentre i soldati li cercavano, Burma pensava, spaventato, al colore intenso della cuffia di sua nonna: gli era sempre piaciuto, quel tocco arancione di giovinezza sbarazzina che incorniciava le rughe, ma ora spiccava pericolosamente intorno al verde marcio dell'erba fredda. I soldati avanzavano metodici, ma anche un pò distratti: saccheggiato il villaggio, placata la fame di violenza, sesso e sangue e soldi, solo le urla isteriche di un grasso sergente li spingevano ancora verso le ultime colline dietro di loro. Lì, fra quello ombra fredde, erano nascoste una decina di persona, scappata dalle casa più lontane, mentre già i fucili violavano il tranquillo scorrere della vita in quel paesino.

Eppure Burma i luoghi dove la storia viene cesellata li aveva sempre immaginati come solenni, un sottofondo di profumo di incenso, e di odore di vecchie e rassicuranti pergamene, mentre solenni uomini togati, in modo meravigliosamente distaccato, vergavano i mille affannosi tentativi della vita degli uomini che brulicava lontano da loro. Bè lì non era così: l'aria condizionata spazzava via ogni odore e profumo, i traduttori automatici freddi riportavano, in molte lingue ma senza sfumature, risposte che erano tutt'altro che certezze. L'uomo sotto processo, che parlava dall'altra parte del vetro antiproiettile, nell'ambiente asettico del tribunale dell'AIA, era apostrofato come un capo di stato, o un volgare assassino. Dipendeva dall'accento di chi gli si rivolgeva, dai suoi ricordi, da cosa aveva perso o guadagnato in quella guerra di oramai parecchi anni prima. Non assomigliava ad un mostro, come Burma si ricordava da certe immagini di propaganda, ma semplicemente c'era quella sensazione di assurda familiarità, un pò straniante vista la vicinanza, che si ha sempre con i volti che ci scrutano dai giornali, su cui lui e la sua famiglia avevano cercato, sempre più ansiosamente, di leggere il proprio destino.

" Bè sai quel viaggio all'AIA non me lo dimenticherò mai.." ne stava parlanda per l'ennesima volta alla sua ragazza. Lei non era molto curiosa delle sue origini slave, ormai annacquate dagli anni passati a Firenze. Glielo aveva detto subito, da quando il suo sorriso gli riempiva le ore, e aveva anche compreso, con naturalezza, i suoi genitori. La loro faticosa lotta per un pò di dignità, in un paese nuovo, che li vedeva come una minaccia e aveva cancellato con un tratto di penna tutto la lora vita, i loro lavori precedenti, aveva indurito i loro tratti, li aveva quasi resi più "riconoscibili", dio, quanto si era odiato, anni prima ormai, per quella parola. Bè lei nemmeno non gli aveva mai chiesto perchè si portasse dietro una piccola cuffia arancione, strappata dal sorriso di sua nonna dagli ultimi spari, quasi lenti e pigri di quella giornata ormai lontana. Ora invece, il mondo dietro le vetrine del bar era popolato dalla gente che danzava per sfuggire ai proiettili della pioggia: era in giorni come questi che i miagolii dei suoi ricordi, salivano con maggiore vigore dal sottoscala della sua memoria. " A cosa stai pensando?" mentre si chinava verso il suo sorriso, Burma penso che sì, forse con lei si poteva costruire qualcosa di sicuro, qualcosa con cui mettersi in salvo dal freddo e spietato antivirus della storia.

Su internet cercava febbrilmente, da quasi più di un'ora, le foto dell'ennesima guerra in una regione sperduta del Caucaso. Il cerchio alla testa gli rendeva le immagini confuse: le foto che vedeva, dal salotto della sua nuova casa, odorante dei giochi di sua figlia e del suo amore, entravano in conflitto con le immagini del passato. Allora come ora i sorrisi a denti stretti dei potenti circondati da modelle erano accostati alle mani rugose protese, ai sorrisi persi nei crateri dai bimbi, alle macerie della vita di un giovane uomo di fronte alla sua casa distrutta.
Si sentiva come trascinato in un vortice, strattonato fra l'estrema previbibilità di tutto ciò che sarebbe successo e la sua stessa inevitabilità, non si era mai sentito così debole ed impotente, istintivamente cercò con la mano la cuffia arancione, ormai sformata dal peso dei ricordi, ma trovò solo la manina preoccupata di sua figlia, che lo invitava ad uscire. Per un attimo si vergognò pensando ai suoi occhi rossi, poi vedendo la sorpresa dell'incanto in quelli della figlia, sorrise e scuotendo la testa, chiuse la schermata di Explorer e si allontanò con lei.

S come Storia, S come Slobodan milosevic, S come Sopravvivere, S come Resistere.

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