lunedì 29 dicembre 2008
Guidando.
secondo la rapsodia delle marce del tuo animo:
li rallenti in una placida estate,
a strappi cerchi la velocità singhiozzante dei temporali.
Valli accoglienti di cui non desideri la fine,
ponti e persone sospesì,
pura proiezione di ciò che sei al momento:
comunque non fanno domande,
ti accolgono senza pretese,
file temporanei dei tuoi ricordi,
mentre scorri da aspettative non realizzate
ad altre da consumare,
e sotto di te la strada sorniona si allunga,
a proiettarti orizzonti impossibili.
mercoledì 26 novembre 2008
Passante.
rallenta l'incedere di cappello e soprabito d'ordinanza,
indaga con la curiosità animale dei giovani la vecchia cartella lisa,
in cui non ci sono che poche foto ingiallite:
tutti i giorni si vede inscenare la solita commedia,
col sorriso trepidante di dover chiedere scusa,
pensionato che continua a recarsi al lavoro dei suoi ricordi.
martedì 25 novembre 2008
Se sono rimasti a posto persino i sassi nei vostri viali.
Altra violenza, calore sudore: il colpo di piccone che mi ha riportato in vita è stato violento, senza mediazioni, immediato e freddo. Lo aspettavo trepidante, dopo che per lunghissimo tempo alcune minuscole particelle di me avevano conservato il ricordo di quel sole annerito, del freddo, della paura dell'albero che avevamo inglobato. Coccolato dall'uniformità, viziato dall'assenza di decisioni da prendere, di responsabilità e di scoperte avevo contemplato quei ricordi come un refolo di identità e di diversità. Ora ero di nuovo io, rinforzato dalle mani dell'artigiano che mi creò limitandomi e dandomi certezze, squadrandomi con pochi colpi netti e gettandomi poi in un carro con molti miei simili, cubi rosati che fremevano curiosi.
Di nuovo l'immobilità per anni: incastonato in una strada, vivo in modo latente. Vedo scorrere la vita sopra di me, non vi posso partecipare e forse neppure vi voglio. Altra cosa è vagheggiare un'identità protetto da un'uniformità inglobante, altra cosa ben diversa è strapparsi dalla massa, agire in prima persona, assorbire solo su di sè i colpi dei carri, dei sandali, masticare il sudore della vita di tutti i giorni. Meglio cercare l'appoggio di altri, scaricare le pressioni tutti assieme, lasciare che sia la massa a prendere le decisioni, rifuggirle per la paura di perdere la propria geometrica perfezione. A volte la mia individualità, spinta forse ancora dal fuoco che ci ha generato prende il sopravvento e oeso i passi sopra di me, voglio intuire se l'elasticità che vi imprimono è data dalla forza o dalla rabbia: la fame li rende rapidi ma poco potenti, l'opulenza mi soffoca, leggiadri i passi delle donne accolgo, mentre sfuggo le lance lucenti dei soldati. Ma tutti questi attimi di vita, di consapevolezza durano poco: a lungo andare il mondo reale mi spaventa, mi rende perplesso e mi rifugio nell'indeterminatezza soporosa della massa.
Il lancio, fatto con forza improvvisata, mi stupisce: anni, secoli mi avevano fatto sprofondare nell'oblio, oceani di vita erano passati sopra di me, diventato indifferente per lo spegnersi lento della fiamma della mia curiosità. Ora una mano mi afferra, mi scrolla di dosso la muffa dell'indifferenza e della noia, sento le bandiere, gli slogan, le grida, mi sento esposto come non sono mai stato, ho il dubbio che di nuovo non stia seguendo una mia decisione, ma è la rabbia che mi spinge, nell'arco che disegno ho la sensazione di essere finalmente compiuto, perfettamente realizzato, finchè mi abbatto, frantumando i miei sogni sugli scudi di plexigas dei privilegi eterni.
martedì 18 novembre 2008
Dalle mie montagne
l'ombra del brulicare delle città,
confondono astute il desiderio e la paura di scendere,
scaldati dai dubbi che arroventano gelate certezze:
a volte fuggi, desideroso di umanità,
sempre torni ricoperto di impolverato sdegno:
ti illude il vento, che non gioca più con te
ma sempre più cinico,
di nuovo,
ti soffia giù.
sabato 18 ottobre 2008
Arrivare alla specchio.

Certo adesso non si tagliava più come una volta, pensò Paul mentre veloce si metteva la cravatta si faceva la barba: era nella sua stanza all’università, e quel giorno avrebbe avuto un importante colloquio di lavoro. Era per un importante gruppo finanziario americano, e sua sorella aveva avuto molto da ridire sull’eticità della scelta: quella parola era per lui quasi nuova, eticità era far bene il proprio lavoro, poi non è che lui poteva cambiare il mondo:intorno al piccolo tavolo della cucina si era discusso fino a tardi, si erano lasciati male, poi però lei gli aveva regalato un nuovo rasoio, con la scatola piena di etichette a favore di Carter contro Nixon: la campagna elettorale era prossima, ma lui era infiammato dalla possibilità del lavoro e soprattutto dal sorriso di Jane che lo aspettava subito dopo il colloquio.
Era un giorno importante, il più importante della sua vita (d’altronde glielo avevano ripetuto tutti da un bel po’) e proprio quel giorno si era tagliato di nuovo con la lama del rasoio, cosa che neanche quando era piccolo: guardò irosamente il rasoio, che lo fece pensare a sua sorella, che era tornata dal suo lungo viaggio in India per il suo matrimonio. Si erano incontrati il giorno prima, come erano sembrati diversi: lui e Jane pieni di vita, giovani e brillanti, lei precocemente stanca quasi impolverata da tutta la strada che aveva fatto, ma sempre con il gusto della battuta: ma ora basta, era tempo di incamminarsi lungo quella giornata piena di sole.
La mattina presto, nella sua cucina“ Guarda non ce la faccio più: il lavoro i bambini mia moglie, non ho neanche un attimo solo per me.. “perché non venite un week end qui, nella nostra vecchia casa: ce ne stiamo un po’ tranquilli…” “ ok sento mia moglie e ti dico, poi devo vedere il capo..” “ ho letto sul giornale che stai diventando importante..” “ sì ci stiamo espandendo, sai la sensazione inebriante di cavalcare un’onda di…” di cosa…?” “ di poter cambiare qualcosa: ti ricordi una volta ne parlavamo, ora con un clic sposto milioni di dollari e ..” “ e pensi che quello sia il cambiare qualcosa?.”ecco di nuovo quella sensazione, sua sorella lo spiazzava sempre, tutte le volte che lui pensava di aver raggiunto un punto di certezza c’era sempre un che di nuovo, un nuovo gradino da superare, in fondo fin da piccoli era il loro gioco preferito ” va bè non parliamone adesso ti richiamo dopo per…”
Era strano radersi con estranei: lui lì era fuori posto, non c’entrava nulla, ma ormai aveva imparato che certe cose in quel ramo delle prigione di New York non andavano ripetute troppe volte. La sua storia mal si accordava con i tatuaggi, con la ferocia,

Questa volta arrivava allo specchio, che quella pazza di sua sorella aveva semicoperto di adesivi “ yes we can!:

mercoledì 15 ottobre 2008
Entropia.
accarezzandoli, gli occhi dei vecchi,
specchi di memorie dubbiose,
tendono verso l'infinito le corde invisibili delle galassie
per scagliare la freccia del tempo nel cuore rugginoso di Dio,
bersaglio che sfuma nel profumo d'incenso della tua infanzia.
sabato 27 settembre 2008
S.

Eppure Burma i luoghi dove la storia viene cesellata li aveva sempre immaginati come solenni, un sottofondo di profumo di incenso, e di odore di vecchie e rassicuranti pergamene, mentre solenni uomini togati, in modo meravigliosamente distaccato, vergavano i mille affannosi tentativi della vita degli uomini che brulicava lontano da loro. Bè lì non era così: l'aria condizionata spazzava via ogni odore e profumo, i traduttori automatici freddi riportavano, in molte lingue ma senza sfumature, risposte che erano tutt'altro che certezze. L'uomo sotto processo, che parlava dall'altra parte del vetro antiproiettile, nell'ambiente asettico del tribunale dell'AIA, era apostrofato come un capo di stato, o un volgare assassino. Dipendeva dall'accento di chi gli si rivolgeva, dai suoi ricordi, da cosa aveva perso o guadagnato in quella guerra di oramai parecchi anni prima. Non assomigliava ad un mostro, come Burma si ricordava da certe immagini di propaganda, ma semplicemente c'era quella sensazione di assurda familiarità, un pò straniante vista la vicinanza, che si ha sempre con i volti che ci scrutano dai giornali, su cui lui e la sua famiglia avevano cercato, sempre più ansiosamente, di leggere il proprio destino.
" Bè sai quel viaggio all'AIA non me lo dimenticherò mai.." ne stava parlanda per l'ennesima volta alla sua ragazza. Lei non era molto curiosa delle sue origini slave, ormai annacquate dagli anni passati a Firenze. Glielo aveva detto subito, da quando il suo sorriso gli riempiva le ore, e aveva anche compreso, con naturalezza, i suoi genitori. La loro faticosa lotta per un pò di dignità, in un paese nuovo, che li vedeva come una minaccia e aveva cancellato con un tratto di penna tutto la lora vita, i loro lavori precedenti, aveva indurito i loro tratti, li aveva quasi resi più "riconoscibili", dio, quanto si era odiato, anni prima ormai, per quella parola. Bè lei nemmeno non gli aveva mai chiesto perchè si portasse dietro una piccola cuffia arancione, strappata dal sorriso di sua nonna dagli ultimi spari, quasi lenti e pigri di quella giornata ormai lontana. Ora invece, il mondo dietro le vetrine del bar era popolato dalla gente che danzava per sfuggire ai proiettili della pioggia: era in giorni come questi che i miagolii dei suoi ricordi, salivano con maggiore vigore dal sottoscala della sua memoria. " A cosa stai pensando?" mentre si chinava verso il suo sorriso, Burma penso che sì, forse con lei si poteva costruire qualcosa di sicuro, qualcosa con cui mettersi in salvo dal freddo e spietato antivirus della storia.
Su internet cercava febbrilmente, da quasi più di un'ora, le foto dell'ennesima guerra in una regione sperduta del Caucaso. Il cerchio alla testa gli rendeva le immagini confuse: le foto che vedeva, dal salotto della sua nuova casa, odorante
Si sentiva come trascinato in un vortice, strattonato fra l'estrema previbibilità di tutto ciò che sarebbe successo e la sua stessa inevitabilità, non si era mai sentito così debole ed impotente, istintivamente cercò con la mano la cuffia arancione, ormai sformata dal peso dei ricordi, ma trovò solo la manina preoccupata di sua figlia, che lo invitava ad uscire. Per un attimo si vergognò pensando ai suoi occhi rossi, poi vedendo la sorpresa dell'incanto in quelli della figlia, sorrise e scuotendo la testa, chiuse la schermata di Explorer e si allontanò con lei.
S come Storia, S come Slobodan milosevic, S come Sopravvivere, S come Resistere.
venerdì 29 agosto 2008
Post.
ti allontani dallo sfrigolio spietato del computer,
con braccia intorpidite
nutri il falò di foglie rugose
e pagine raggrinzite di internet.
Non è il rimpianto dei bei tempi andati
ma gli interrogativi sul futuro ti circondano,
schegge impazzite di file psichedelici.
lunedì 25 agosto 2008
Mare.
il vento mi ricorda il mare
che dal blu netto del giovane orizzonte
invecchiando scolora.
Vecchierel bianco e infermo
trascina
la paura della solitudine delle petroliere
la salsedine incattivita degli scafisti
i palloni gonfiati coi sogni persi dei bimbi,
fino ad annullarsi, con un'ultima vibrante protesta,
nell'abissale conformismo democristiano della spiaggia.
martedì 19 agosto 2008
Miei ricordi di viaggio
Aarif, Fuad e Bilal sono tre bambini, sono una banda, sono un gruppo, sono una famiglia: ognuno di loro è madre, padre, nonno e sorella per tutti gli altri.
Si stringono l’un l’altro e cercano di rimanere vicini, di non perdersi nel flusso vorticoso di idee e merci, di tendoni che a stento trattengono trattative che vanno avanti dal mattino, di persone e muli che si spostano a vicenda, testardamente convinti ognuno di avere la precedenza, di angoli che ti attirano verso stradine laterali misteriosamente silenziose, chiuse alla luce ma aperte alla scoperta, per poi ripiombare, dopo una svolta, senza preavviso, fra grida odoranti di fretta e fra richiami vibranti di profumi, nel tentativo di evitare rigagnoli di provenienza indefinita e teste di animali con cui giocano i gatti, e di seguire i raggi del sole che a fatica riescono a infilarsi fra i sacchi di riso, pasta, datteri e spezie per accarezzare gli occhi velati di interesse di una donna, mentre pare che le mura e le porte tendano le proprie secolari fondamenta per cercare di trattenere lo splendore misero della medina di Fes.
Lo stesso brulichio assordante si aveva quando qui, nella prima università del mondo, si declinavano le opere dei filosofi e matematici greci secondo la legge del sole e dell’Atlante: ancora oggi, strette fra le botteghe e le moschee, si vedono antiche mederse che hanno ospitato i sogni intagliati dai libri degli studenti, nei cui cortili si sono accese passeggiate di discussioni su un passo controverso, ma oggi nessuno dei tre bambini saprebbe né leggerlo né tantomeno scriverlo.
Non hanno mai imparato, né glielo insegneranno mai: hanno capito presto di dover temere il pancione sporgente dalle fondine dei poliziotti, di dover sfuggire oscuri uomini neri, di poter cercare e far pagare ad imbarazzati turisti il pedaggio di un dyram, ma non sanno e non riescono a capire quale sarà il prezzo da scontare per il loro futuro, se riusciranno mai a diventare come quei mercanti, imprigionati nei loro negozi, da cui escono ed entrano soltanto saltando aggrappati ad una corda, oppure come quelli artigiani che costruiscono la propria vita assieme a quella degli oggetti che modellano con mani pazienti. Spesso a volte, di notte, sognano di partire, di lasciarsi alle spalle una vita da gatti, ma le mura della medina, alla luce cruda del giorno, appaiono così difficili da superare…….
Hisham, invece, guarda con impazienza a Fes e al suo futuro: è in campeggio nel posto più paradossale del Marocco, a Ozoud, dove le cascate sono come una ragazza vivave che porta il sorriso fra monotone e barbute colline.
Disteso sotto gli alberi guarda i suoi amici, sente che la loro amicizia è solida come quelle piante, come i loro i suoi denti sono intaccati dall'acqua dei poveri, ma la sua mente è assediata dagli studi fatti, che stanno scavando un fossato fra lui e gli altri: la sua intelligenza, le sue letture, come le scimmie dispettose che spesso rovesciano le loro cose, e frugano con curiosità fra i loro averi, lo spingono a criticare, a cercare di aggirare o di pungere, almeno, l’argine eretto dalla legge regale del silenzio. Vede il suo paese in bilico, lo vede come quei tronchi che spesso paiono esitare prima di precipitare nelle acque ribollenti che li aspettano, avverte la forza e l’orgoglio che arrivano da un passato grandioso, i cui echi sono possenti ancora oggi come lo scroscio delle cascate, però percepisce anche l’oscillare quotidiano fra la tentazione di rifugiarsi sotto un burqa, e la resa incondizionata al Mac Donald’s, fra la legge di Allah e quella del mercato, fra i racconti dei padri e ciò che si scarica da internet, avverte la contraddizione di cui è parte e l’impossibilità di individuare una soluzione, poi voci amichevoli lo riportano a galla come dopo un tuffo troppo spericolato e si avvicina, barcollante per il sonno e strattonato dalle scimmie dei suoi pensieri, agli amici per gustare il the alla menta come i loro padri, e i padri dei loro padri.
Samaah invece aspira all’acqua, come tutta la terra in cui vive: resiste con la sua famiglia, a Ouarzazate, in una casbah, ai confini del deserto, i cui tartari sono orde di turisti che senza ritegno marcano i loro passi pesanti sulle fragili costruzioni di argilla, fango e paglia che resistono ancorate nel deserto,
Vorrei ora, adesso lo stesso vento di grida, di amicizia, di spazi infiniti e di luoghi racchiusi, di vita e annichilimento per essere confuso e guidato.
Marrakech
serpenti drogati che si contorcono, timidi, per una tua moneta,
profumi di cibo cotto dalle urla e dal sole,
calore che la folla amplifica
conscia di essere moltitudine onnipotente :
Jama‘a el-Fnaa vorace ti ingoia
strappandoti dal Palazzo al-Badi
che solitario e orgoglioso non cerca di trattenerti,
colmo di sconfitto fascino austero.
C'è chi l'amore lo sceglie per professione.
gettate sui treni salati d'estate,
nel sonno sfuggono a mani protese
inanellate d'euro,
insultate dalla malizia con cui le ignoriamo.
venerdì 15 agosto 2008
Come una corda tesa
E’ da un po’ di sere, infatti, che Mario naviga fra i nomi, quelli del passato che ha visto crescere e che vivono spesso solo più nei suoi ricordi e quelli del presente, registrati ormai direttamente sul computer, con cui parla e si confronta tutti i giorni.
Oggi, scorrendo distrattamente le pagine, cerca in modo quasi inconsapevole le prime note scritte su quel libro dalla sua vecchia penna stilografica, il regalo dei suoi genitori per il suo nuovo incarico da sacerdote. Le sue dita accarezzano una data in particolare: 13 dicembre 1944. Quel giorno le ultime unghiate della guerra lo avevano coinvolto da vicino. Lui era un giovane prete e anche se era arrivato da poco in quel paesello, ben presto aveva sentito parlare di un pugile, Maurizio, una vera e propria leggenda locale, l’uomo più forte delle Langhe, dicevano.
Ebbene il giorno in cui i fascisti erano venuti a prendere il padre di Maurizio per portarlo via, per fucilarlo o per torturarlo, suo figlio, quell’uomo enorme che da tempo non subiva una sconfitta sul ring, non aveva esitato ed era subito corso in suo aiuto. Tuttavia era disarmato e i suoi grossi pugni non erano riusciti né a stringere né a fermare le pallottole che lo avevano crivellato. Non più si erano uditi gli urrah del suo pubblico, mentre ancora ogni tanto nella memoria e nella mente di Mario risuonano questi interrogativi: avrebbe potuto fare qualcosa, non aveva avuto il coraggio di frapporsi oppure aveva semplicemente evitato una vittima in più inutile?
E’ da un po’ di tempo che sono queste le domande che si affrontano nella sua mente: da una parte gli eserciti ordinati delle idee quotidiane, delle mille incombenze da svolgere, dall’altra la guerriglia scaltra dei dubbi e degli interrogativi.
Non vuole stendere bilanci, a quelli ci pensano gli altri, cerca di estrarre un significato da ciò che ha fatto, di cercare il filo di Arianna, perchè è forte la curiosità di vedere cosa lo attende all’altro capo. Vista la sua abitudine, la sua propensione a confrontarsi con gli altri, vuole farlo andando a riannodare i ricordi delle vite che si sono intrecciate con le sue.
Forse il primo a mettergli in testa quest’idea è stato Giuseppe, un altro nome del suo librone, un suo amico fraterno. Aveva avuto una vita dura: il lavoro nella panetteria di suo padre, scelta impostagli dalla necessità di mantenere sé e la sua famiglia, il forte rimpianto per non aver mai potuto studiare, l’orgoglio feroce per la figlia, che era riuscita a laurearsi a Torino. Ma più di tutto era sempre stato grande l’amore per il suo paese, e per la casa che aveva costruito:ne era fiero, l’amava più della moglie, come Mario a volte bonariamente gli ricordava. Per Giuseppe non era solo una semplice casa di campagna, ma la prova che era riuscito a dirigere con mano ferma la sua vita fra i sacchi di farina, il calore feroce del forno d’estate, la sveglia ad ore impossibili. Il sacerdote socchiude gli occhi e capisce ora, forse meglio che in passato, ciò che voleva dire l’attenzione ai particolari dell’amico, la stessa che ora lui riserva ai dettagli della propria vita.
Lui non vuole chiedersi se ha costruito qualcosa; certo un nuovo oratorio, molte amicizie, l’affetto sicuro di qualche persona, ma rimane sempre un fondo di ansia in agguato al dì là nelle ombre della notte, che né la Bibbia né la tranquillità delle abitudini quotidiane riescono a rischiarare del tutto.
Altre ombre, invece, gli avevano allontanato tutta una generazione, i cui nomi, vicini fra loro, cerca sul vecchio registro quasi con riluttanza: Luca, Lorenzo, Martina e poi anche Chiara, Elisa e Francesco. Il fascino delle nuove idee che spirava dalle università di Torino alla fine degli anni Sessanta aveva allontanato i suoi ragazzi migliori, che tornavano al paese con parole, vestiti, musiche e sogni totalmente nuovi, che non comprendevano più né lui né ciò che lui rappresentava.
Quello era stato uno schiaffo molto forte al suo orgoglio: per la prima volta si era sentito in balia di forze più grandi delle sue. Il suo lavoro entusiasta ed indefesso con quei ragazzi non era servito quindi a nulla? Niente era rimasto nelle loro menti?
Certo, deve ammettere con un sospiro, mentre si sgranchisce le braccia, ora molti di loro sono suoi parrocchiani, ma tutte le volte che li vede non riesce a non provare il senso, anche se ormai latente, di sconfitta. E’ un po’ non voler ammettere di non riuscire ad incidere sulla realtà, lui che aveva scelto di fare il prete proprio per cambiarla. Ma poi si cambia la realtà? O i suoi sono solo sogni, solo un po’ diversi da quelli colorati di quei ragazzi?
Invece, e ora i suoi pensieri cambiano tono bruscamente, la sua vecchia amica Federica non era mai riuscita a leggere con chiarezza la realtà, soprattutto quando si trattava del suo unico figlio, Giacomo, dirigente molto influente di un’ASL locale: vedere i loro nomi sulla carta gli provoca sempre un po’ di smarrimento e di rammarico. Quando Giacomo era stato travolto da uno dei tanti scandali che periodicamente scuotevano la politica locale, lei, troppo fiera del figlio per ammettere che potesse sbagliare, era andata nel suo ufficio per distruggere i documenti che pensava potessero comprometterlo. Mario scuote la testa, ancora sorpreso in cuor suo da quella donna orgogliosa, un tempo di sicuro bella, che aveva vinto la riservatezza custodita all’ombra delle colline da lei tanto amate per esporsi in tal modo: e non riesce ad immaginarsi la sua reazione di fronte ai carabinieri che l’avevano sorpresa e denunciata. Ci doveva essere altro, oltre all’amore senza limiti per Giacomo: forse il senso di un rigore morale ed etico che si era allentato col tempo, inseguito ormai anche fra i vigneti da lei tanto amati dai lupi affamati dell’arrivismo sfrenato
Mario decide bruscamente che quegli interrogativi sono troppi per una fredda serata autunnale, e cerca calore nello schermo freddo del computer, che gli elenca una serie di nomi, alcuni dei quali per la prima volta di extracomunitari. Sorride amaro quando pensa ai telegiornali che soffiano sul fuoco dell’atavica ed insopprimibile paura del diverso, lui stesso ha dovuto lottare contro pregiudizi che non credeva si nascondessero in lui. Forse in questo campo è riuscito a migliorare qualcosa, anche se l’aiuto più grande gli è stato dato da Andrei e dalla sua famiglia, i cui nomi ora gli sorridono dallo schermo. Andrei è arrivato, come muratore, in quel piccolo paese durante l’alluvione del 1994 e la sua dedizione, la sua infaticabilità hanno dato la prima spallata al muro di ignoranza reciproca: sorride quando pensa a rumeni e langaroli coperti dal fango, indistinguibili, uniti dalla stessa fatica e dalla stessa urgenza.
E’ stata l’ennesima volta in cui Mario ha visto la sua gente dimostrare di saper lottare fino in fondo, anche se alcune sere, la sensazione straniante che avvolge l’anziano sacerdote è quella di una corsa il cui fine, il cui scopo ultimo gli è ignoto.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mombasiglio
giovedì 24 luglio 2008
Ricordi di viaggio
e l’inganno con cui caddero,
in quella guerra decisa da mercanti,
narrata da eroi.
Credevo nella spada che facevo mulinare,
vinsi piegando gli scudi con la mia astuzia,
ma ben presto vidi
che avide menti
si avventavano sulle rovine fumanti.
Non avevo lottato, sacrificato
l’infanzia di mio figlio,
la vecchiaia di mio padre
e la bellezza di mia moglie
solo per far sì che le merci greche
arrivassero a Xandù.
Nella mia isola si aspettavano un trionfatore,
videro un relitto:
solo io fra tutti volli comprendere,
ma la scoperta incatenò la mia mente a troia,
alla città preso con un inganno
per un altro inganno.
Poi qualcosa cambiò: arrivò un uomo, portato dalle onde,
disse di essere uno scrittore:
aveva vagato nel mediterraneo,
le muse lo avevano portato lì,
o forse la fame,
o la tempesta:
il padre lo irrise,
come poteva un eroe senza fiamma illuminare un’opera d’arte,
ma mio figlio lo spinse verso di me,
ultima speranza.
Gli raccontai la mia storia,
la verità
il cui aspro odore
non mi faceva dormire,
capì ed ammise,
dopo vari fiaschi di amicizia
di averlo sempre saputo,
ma disse che al pubblico non sarebbe piaciuta,
perché pensare? se la causa è giusta
e chiedersi chi custodirà i custodi?
E così mi vendetti di nuovo,
per comprarmi un futuro di oblio,
e violentai i miei ricordi:
lucidi armi di fattura unica
sostituirono merci invendute,
combattimenti gloriosi furono cantati
al posto di massacri ingiustificati,
le avide menti furono sostituite da dei maestosi:
e fu gloria per entrambi,
per il poeta e per l’eroe,
che di nuovo,
beffarda catarsi,
ingannava ed era ingannato.
Il pubblicò impazzì,
nel vedere riflessa nella gloria
la propria vita di tutti i giorni
tinte preziose su un intonaco squallido.
Il successo fu così grande
che inventai il seguito,
il viaggio fantastico:
e così le donne dei pescatori
divennero le sirene,
un vecchio re il feroce polifemo,
ingenui isolani i lestrigoni
banali compravendite gesti d’astuzia; .
le avide menti pagarono bene l’illusione collettiva:
e fui famoso, molti dissero che avrei varcato i secoli,
io Ulisse, figlio di........... (non voglio macchiare il nome di mio padre)
che avevo varcato tutti i mari,
con l'inganno e con la fantasia.
Incontri di viaggio.
sulla rotta decisiva,
a scoprire il continente che non battezzerà,
che porterà vite e guerre,
i Kennedy e gli Allende,
il petrolio e il tabacco,
sogni infranti di regni e di uguaglianza,
il libertator e i conquistadores,
la terra del fuoco e N.Y:
lui lo lambirà soltanto,
lo traviserà,
portato dalla Santa Maria,
benedetta da vescovi, condotta da galeotti.
Guarda l’altro legno che si accosta
nello sciabordare della storia,
non chiedere perché, non come,
ma osservalo
stinto da mille tempeste,
dalla fatica di avanzare:
gli equipaggi dormono,
sognano la casa,
le mogli belle e desiderate,
e forse pensano di incontrarsi,
così come l’ammiraglio e il guerriero astuto,
gli occhi dell’uno in quelli dell’altro.
“ chi siete?” chiede C.
“ chi sono io?" risponde U.
"Se ti rispondo, scoprirai chi sei tu:
vengo da lontano,
da glorie passate,
non so più se vissute o inventate,
non più importa,
già vecchio decisi di andare,
avidi menti volevano ancora sfruttarmi,
le rifiutai,
rinnegai finalmente l'astuto poeta,
partii con pochi compagni,
e ora navigo, navigo..”
“ cosa ti spinge,
ti strappa dagli ultimi tramonti di quiete?”
“ A tre dee sacrifico nella mia vecchiaia:
alla lotta, alla ricerca, alla costanza:
superare il limite è la mia meta,
è una spallata contro il muro dell'apatia,
è una vittoria che si tramuta in sconfitta,
ma che per quanto poco duri ti dà sollievo”
“Io cerco un’isola, al mio viaggio anche sono interessate regali menti,
ma non me ne preoccupo.
Ormai troppo angusto, soffocato dal passato
è il Mediterraneo,
ogni sua onda è inquinata dalla storia:
cerco nuove vie, una nuova speranza, nuovi orizzonti,
l'assenza di limiti per tutti,
per questi uomini dell’equipaggio, costretti a remare,
loro pensano verso il nulla,
e a volte penso che la ragione fatichi con loro….”
U. “ solo se lo pensi poi trovi il nulla...
Io credo in terre forse abitate,
magari libere da uomini,
che ci aspettano:
forse noi non le vedremo,
cadremo prima nel tentativo,
ma se non ci provassimo
non saremmo uomini,
ma tavole di legno incosapevoli,
di cui il mare fa ciò che vuole.."
“hai ragione, continuerò, insisterò:
forse ho capito, seguirò il vento
che viene dall’Europa, che porta credo all’asia, al Katai,…
e invece la tua rotta?”
“ io andrò verso l’africa,
dove sono i leoni,
dove sono arrivati in pochi e pochi sono tornati
ho saputo che c’è un’alta montagna,
lì mi dirigerò…..”
domenica 20 luglio 2008
Stamattina
che ancora mi seduce languido,
lo scaccio
col caffè fumante del tuo sorriso.
Ieri sera
frenando la volontà di cadere
aggrappato ai tuoi occhi
annaspo alla ricerca
di ciò che dispero di non afferrare.
venerdì 18 luglio 2008
Estate.
diluiti all'ombra di porose certezze rinfrescanti,
sospesi fra pulviscolari punti interrogativi.
Il caldo che ti respinge è la vita che sprechi:
vanamente la insegui olte le porte a vetro che tagliano l'aria,
il pedaggio da pagare per il gelo del supermercato
è il sorriso dimenticato del sole che ti insegue.
Chat.
P come Paziente ( come Professore).
Scritto con http://logomagheiros.blogspot.com/ anche se con una lieve differenza....
( giovane medico, in mano una cartella clinica, a fianco una barella con sopra un paziente e un infermiera)
I: Paziente di 82 anni, Alzheimer in terapia da 5 anni, iperteso, ieri caduta accidentale nella casa di riposo dove risiede, sospetta frattura di femore.
M: ma adesso che la vedo, lei è proprio il professor Riccardi, il prof di latino del liceo.
P : Perché sono stato così tanto lontano da Itaca, dalla mia sposa testarda…ho un forte dolore alla gamba…( pausa)…questa mai sorte, se solo fossi nata donna potrei dirmi Euridice nell’inferno insieme a Plutone.
M: ma tra tutti i problemi che ho, anche il mio vecchio prof che non connette più, beh , Francesca, vediamo di fargli un radiografia alla gamba e mandarlo a casa.
( P esce con infermiera. M rimane in scena, si guarda il cellulare, nessuna chiamata, sospira. )
M: ma guarda che mi tocca anche rivedere il prof Riccardi, non basta essere di turno alle due di notte in questo inferno? Euridice?...e inferno…peccato che io non sia Orfeo! Ma in fondo quando mai sono stato capace di fare Orfeo?.. con Pier?una litigata e mai una birra per chiarirci…..Giorgia? un amore sputtanato dietro al troppo lavoro….al mio idealismo come lo chiamava lei….che poi anche Orfeo in fondo ci credeva veramente? Mica pensava davvero che gliela avrebbero fatta portare fuori dall’inferno la sua Euridice?
Lo conoscevano, loro erano Dei e sapevano già che si sarebbe voltato…in fondo me lo dice sempre Marco che sono troppo fatalista! Ma non ho mai tempo neanche per pensarci, con tutti malati che mi tocca vedere in un giorno...Se con quella signora dell’altra sera, quella con quegli strani lividi al braccio avessi battuto un po’ di più…magari lasciando il marito in sala d’attesa a grugnire, non mi avrebbe raccontato la balla fin troppo scontata della scala…ma sono un medico o un prete?....eccolo che torna. Lui in fondo al liceo era un prete, tutte quelle prediche…ma cosa diceva? Le ho mai ascoltate? giocavo a fare il Jack frusciante. No…non potevo gia essere di corsa allora…forse pensavo solo ad altre cose, allora quelle erano le più importanti.
( ritorna P sulla barella con l’infermiera che lo spinge, scende si mette a camminare zoppicando)
M: stia sulla barella, professore, mi cade ed è pure colpa nostra questa volta…
P: Allora colta dal pungolo d’amore inviatole da Poseidone, Pesifae, moglie di Minosse re di Creta, si fece costruire dal geniale architetto Dedalo un giovenca di legno. In essa entrata, unì la sua carne a quella del toro e da questa unione partorì, atroce vendetta di Poseidone primo padrone del toro, il Minotauro. Minosse, scoperto il frutto dell’irrazionale unione lo rinchiuse e nascose alla civile Creta.
Ma un caro prezzo: cinquanta giovani fanciulle ateniesi ogni anno condannate a scender nel labirinto e non più vedere il volto della propria madre…
M: Francesca, portalo di là e fagli un calmante. Io intanto sento quelli della casa di riposo che vengano a riprenderselo.
( l’infermiera siede P e esce con lui. Il medico telefona, nessuno gli risponde. Posa il telefono, si siede e apre un giornale. L’infermiera ritorna, sola)
I: L’ho lasciato di la a Stefano, era così agitato!
M: certo che non cambia mai niente…..noi proviamo d intrappolare la violenza, la rabbia che ci costringono a mangiare ogni giorno, ma tanto esce, per forza guarda quanta gente che ci arriva ogni giorno senza niente in realtà, ma solo incazzata col mondo….vero ?
F: sì, e poi si sfogano soprattutto con noi. Come il rumeno dell'altro giorno, che si chiamava strano, che si era preso il dito in qualche macchinario...che mentre lo medicavo mi diceva che tutti gli altri che lavorano con lui in quel periodo erano in ferie, quindi gli toccavano troppe ore al giorno oltre a quelle che faceva in nero normalmente, e ce l’aveva col capo che lo fa lavorare troppo, con i colleghi che ognuno pensa per sé e via, Con la moglie che gi rinfaccia che porta troppi pochi soldi, con i figli che si dannano l’anima ma se c’è sempre l’ennesimo figlio di papà che ti passa davanti…
M: che l’altra sera parlavo con un ematologo francese qua per un congresso, bè sua madre prima viveva in una banlieu e adesso si è dovuta trasferire e si è ridotta a votare Le Pen, sperando che non debba mai più vedere dei ragazzini che le bruciano la macchina…
F : ma poi tu sei così sicuro che tutta questa violenza non sia solo uno dei tanti nostri avanzi……in fondo a noi le banliue fanno comodo….noi siamo tranquilli dalla parte giusta, loro da quella sbagliata: sono tossici, poi rubano, bruciano, non vanno a scuola.Ma noi vorremmo che i nostri figli crescessero con loro?
M: tu hai ragione. Ma poi anche tu, non prendiamoci in giro, quando sei vicina a un nero sul tram, la borsetta te la stringi stretta. E ti capisco anche. Alla fine ha ragione lui: ai greci andava bene, era fin troppo facile capire chi era il male, il mostro, chi la vittima….
Siamo tutti nello stesso labirinto, e non abbiamo più vittime innocenti da mandare…..
F: sì sì hai ragione, mi chiamano di là. Vado.( I ,non convinta, si allontana )
M: Vedi se ci penso mi sono dimenticato che le cose che questo vecchio pazzo mi raccontava mi piacevano anche . Ci pensavo un sacco, il pomeriggio…bè quando non pensavo ad Erika o qualche altra. Vedi, però, allora cambiavo una fidanzata a settimana. E non me ne fregava niente. Che poi non è che Achille grande eroe fosse perfetto come vuole far credere Brad Pitt…….come era già? Si era vestito da Donna, fra le figlie di quel re…va bè come si chiamava il re non mi ricordo;ma se cercassi sul libro del liceo troverei le pagine tutte consumate. Lui figlio di Dea arrivare ad umiliarsi, negare se stesso…Però, forse, per non morire chi è che non lo farebbe? Oggi chi non è pronto a barattare un etto della sua dignità anche solo per non passare un weekend da solo?E l’ho fatto anche io, in fondo. E l’alternativa non è morire con una freccia nel tallone….però io non passo alla storia, lui si…Che poi a ripensarci uno come Achille non sarebbe riuscito a fare a meno delle sue armi per sempre. Quel furbacchione di Odisseo ha solo accorciato i tempi…ma gli Dei in fondo erano stufi della pace e degli eroi, la guerra di Troia doveva iniziare subito. Che poi un Dio annoiato, che ne so per esempio Marte, faccio fatica a vedermelo…per loro siamo come i lego nelle mani di un bimbo….
( suona il telefono)
M: Pronto Soccorso, dica.( pausa) Va bene, allora avviso l’infermiera che arrivate.
M( rivolto verso l’uscita): Francesca, hanno telefonato dalla casa di riposo, vengono a riprendersi il professore.
I( da fuori): Bene, ora sta parlando di un certo Admeto, va sempre peggio, eh?
M: (verso fuori)Grazie. ( di nuovo tra sé) Admeto, il fanciullo amato da Apollo…questo mito me lo ricordo benissimo. L’ho sempre trovato affascinante, addirittura assurdo. In fondo non lo si può capire, è troppo assurdo. Certo che a pensarci mi piacerebbe essere un prof. Sedermi sulla cattedra davanti a venti ragazzi e cominciare a raccontare loro qualcosa, ma ci riuscirei?….lo so già, la mia vita si intrometterebbe…..se iniziassi a parlare di colui che tra gli dei è il modello nell’Amore, il divino Apollo. ( ora rivolto ad un immaginario pubblico ) Lui che sempre è l’amante, quella sola volta si fece oggetto d’amore, si fece pagare per esserlo: ( a se stesso)noi oggi questo tipo di scambi li fuggiamo, preferiamo comode rate non rimborsabili….Punito da Zeus, per colpa del figlio, fu mandato sotto mentite spoglie come servo al re di Fere in Tessaglia. E di questo re si innamorò come solo un Dio può fare: e certo poi un Dio non si deve mica confrontare con le piccole fatiche quotidiane…colla spesa da fare…le vacanza da decidere….. Per lui confuse il divino con l’umano, il cielo con la terra, l’amante con l’amato…faccio fatica a confonder il mio letto con quello di un’altra…. Ma andò ancora oltre. Quando giunse l’ora per Admeto di morire, Apollo, arriverà a fare ciò che nemmeno Zeus per l’amato Sarpedonte osò fare: ubriacò le Moire, figlie di Ananke, la Necessità, tessitrici silenti delle trame ordinate del mondo. …e io che non riesco nemmeno ad ingannare le scadenze di fine mese o il trillo del cellulare..Altri raccontano che ancora Admeto vive, e al suo posto di tanto in tanto qualcuno, come per prima fece la moglie Alcesti, lascia questo mondo: non conosco nessuno, oggi, che morirebbe per un altro…. Ma si sa che in fondo nessuna di queste cose mai avvenne, ma sono sempre.
Punti di vista
è un dono di dio,

io pensavo un semplice
vibrare di quark,
e pensavo che i nostri
ondeggiassero assieme
in un’armonia lieve,
ma forse era il mondo
troppo pesante.
Dopo aver visto il film "il pianista"
Aspetto in questa casa che non conosco, seduto su questa sedia appartenente a chissà chi, circondato da mobili che hanno visto le usuali azioni quotidiane di qualche famiglia borghese, ora maciullata dalla storia.
Aspetto paziente, non ho fretta: il freddo, la paura, la fame lavorano per me. Quella gente si demoralizza in fretta; ragionano con l’istinto e con la pancia, come bestie, non con la testa ed inevitabilmente cadono nelle nostre mani.
Aspetto; l’indirizzo, l’indirizzo di quest’appartamento nella zona più vecchia della città è stato sussurrato, scritto, chissà quante volte, mai dimenticato e mai urlato fra le torture, ma lo abbiamo avuto per caso, era fra le carte, forse occultato forse ignorato, di uno di quelli che abbiamo ucciso, massacrato. Non sapevamo cosa potesse significare. L’abbiamo sorvegliato, un viavai continuo di gente, di quella gente sparuta, smagrita, bestie con giacche e cappotti, pieni di toppe; siamo entrati, un’irruzione in grande stile, ma la coppia, elegante, forse colta, ci sono libri che non ho mai sentito, libri proibiti, forse li dovrò bruciare, si è buttata giù. Hanno lasciato scritto” Non ci avrete mai come volete voi” Come se a noi interessassero loro due! No, noi vogliamo gli altri, quelli che hanno nascosto, nutrito, per cui hanno mentito, che quando non avranno più niente da perdere verranno qui.
Me li immagino: suoneranno flebile, guardandosi intorno, timorosi di se stessi, aprirò, sorriderò li offrirò da bere, li farò parlare, mi fingerò loro amico, loro pari, loro complice, anche se mi fanno ribrezzo, e parleranno, senza rendersene conto, intere famiglie, interi gruppi saranno condannati dai loro stessi amici! Poi dopo che avranno parlato, gli offrirò di nuovo da bere, ma questa volta ci sarà qualcosa nel liquore o nel vino, ed in tre secondi stramazzeranno come topi, ora le nuove regole impongono così, niente più eliminazioni di massa, fucilazioni all’alba, a rompere la nebbia, meno prove ci saranno meglio è, non si sa mai se loro prendessero il sopravvento cosa potrebbe accadere…
E dopo che la voce, inevitabilmente si sarà sparsa, cambierò incarico.. Mi promuoveranno? Vorrei avere un ruolo più importante dirigere una di quelle prigioni per quei cani, avrei molte idee innovative per sfruttarli fino in fondo e se faccio bene questo lavoro, per me è solo una questione di promozione, in fondo sono un burocrate, un burocrate della morte.
Aspetto sotto questa casa che non conosco, in questo portone che immette a qualche lussuoso appartamento; la casa non sembra sorvegliata, è vero che si sono sparse strani voci, ma sento freddo, fame: il freddo mi assidera il cervello, ragiono solo con la pancia, mi hanno ridotto a questo…fuggo da tre anni, da uno non mi lavo, e l’odore che sottende tutti gli altri è quello della paura a volte inconsistente, a volte, a tradimento, assai aspro, da un anno non parlo con un amico in un caffè, da tre o quattro mesi non leggo un giornale, dormo in un letto, faccio l’amore….io non esisto! Se non esistessi! Potrei entrare in quell’appartamento, vedere chi c’è, decidere se fidarmi o no di loro…ma cosa cavolo sto pensando, piuttosto devo salire o no? Mi ricordo, un tempo ero bravo con le mani, facevo dei bei giochetti di prestigio, ogni tipi di scherzi, gli amici, ridevano e le donne erano conquistate, ma ora, ora mi sono rimasti due pezzetti d’ossa, non stringono quasi più…ma cazzo, basta fantasticare, sali, sali..va bene salgo, busso, ma dovrò poi veramente bussare, per me questo semplice movimento, che ho fatto sempre senza riflettere, senza rendermi conto di cosa significasse, è questione di vita o di morte…
“Ma guarda cosa è successo? Quell’idiota di Carlo è stato ucciso mentre seguiva quel caso così importante” “Ucciso, come? “ “non sappiamo come sia avvenuto: lo abbiamo trovato disteso, morto, ha preso del veleno, sembra si sia ucciso, ma perché, e poi la casa era aperta, tracce di un’altra persona.. un mistero. Comunque era un imbecille, pensava solo alla carriera, mi poteva fare ombra…ora basta parlare di lui, dobbiamo organizzare quell’ irruzione.. Dunque voi entrate di qua con i lacrimogeni, noi intanto…
No, l’ho ucciso, ma l’ho ucciso io? C’era qualcosa nel bicchiere per me oppure ..?
Il tipo era simpatico, anche se mi pareva falso….parlava, faceva domande: all’inizio, ero stringato, poi gli ho risposto, dovevo pur dirgli qualcosa. Lui parlava e si mostrava partecipe, ma secondo me era distante, forse un po’ ostile poi ha versato l’ennesimo bicchierino, e per un attimo in quell’atmosfera che non era accogliente, ma almeno non gelida, come ero ormai abituato, mi sono sentito ritornare quello di un tempo, e in un secondo, mentre si voltava a posare la bottiglia vuota ho invertito i bicchieri, saranno state le mani finalmente riscaldate, o non so che, ma non se ne è accorto, l’ha preso ridendo di gusto ed un secondo dopo rideva nello Stige: non ci volevo credere, l’ho scosso, ho urlato, e la mia voce mi sembrava risuonasse, dopo anni di sibili e sussurri, poi ho avuto paura, paura come se non avessi mai visto un morto…e sono uscito, sono scappato ed ora sono qui più solo di prima…..per me ogni scelta, la scelta di un singolo passo, di un passo che mi porta da uno dei loro, o da uno dei nostri è sempre una questione si sopravvivenza…
Qualcosa da capire
era il libro lasciato cadere a metà,
la TV ammirata e desiderata,
il pc con il file not found:
mi sono nascosto

nel divano di una serata ubriaca,
nel letto di una persona non voluta,
nel bicchiere riempito con disgusto.
Spesso sono scappato, immerso nel vortice di sensazioni,
breaking news da ogni angolo del cosmo:
volevo annullare il mio corpo,
respirare con polmoni eschimesi,
vedere con occhi africani,
pensare con mente ebrea,
amare con cuore arabo,
muovermi con gambe europee,
usare mani americane, ma intanto sfuggivo
a ciò che mi era terribilmente vicino,
che potevo toccare con quelle mie mani,
da me ignorate.
Spesso ne sono uscito, intontito,

impastato, quasi impedito nei movimenti:
il mondo mi aveva lasciato,
e rimasto solo il nulla mi aspettava,
sicuro e impassibile, unico dio, unico signore.
Bene non seppi, fuor dalla scoperta
che schiude l’umana ironia:
era il libro aperto, il sorriso del perdono,
il verde dell’amore.
Atomi.
incantano vanamente soloni
intenti a cullare le proprie tre anime colorate,
immobili e sprezzanti d'altro, la loro gravità trattiene giovani positivisti sicuri di sè:
i loro ruoli bloccati sostanziano la nostra inerpicante mutevolezza.
Sul pulman
A fatica, come temendo di incrinare il fluire di movimenti perfetti, mi strappo da

Lucrezio o Leopardi?
In che tenebre di vita e tra quanto grandi pericoli
si consuma questa esistenza,

E come non vedere
che nient'altro la natura
latrando reclama,
se non che il dolore
sia rimosso e sia assente dal corpo,
e nella mente essa goda
di un senso giocondo,
libera da affanno e timore?
Stretta attualità
alla vista di tutti
turpemente schiacciata
dall'opprimente religione
che mostrava il capo dalle regioni celesti,
con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali.
Un uomo greco per la prima volta
osò levare contro di lei
gli occhi mortali,
e per primo resistere contro di lei.
Né le favole intorno agli dèi, né i fulmini,
né il cielo col minaccioso rimbombo lo trattennero:
anzi più gli accesero
il fiero valore dell'animo,
sì che volle, per primo,infrangere gli stretti serrami
delle porte della natura.
Così il vivido vigore dell'animo prevalse,
ed egli s'inoltrò lontano,
di là dalle fiammeggianti mura del mondo,
e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore.
Di là, vittorioso, riporta a noi che cosa possa nascere,
che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa
abbia un potere finito e un termine,
profondamente confitto.
Il futuro che fa il verso al passato.

In un pub vicino al ponte
Era uno di quei volti che la gente guarda con curiosità, con un misto di sollievo e di pena: il suo naso era come un frangiflutti, che aveva navigato e rotto le onde di tutti i mari, che forse per vendetta lo avevano inciso senza pietà, le sue braccia alberi poderosi, le gambe remi grassocci, e pensava, mentre sorrideva agli scherzi veloci dei suoi amici, a come la vita le fosse sempre scivolata addosso.
Il mare delle sue conoscenze non era mai andato oltre contatti superficiali, nessuna goccia d’uomo aveva mai osato sostare troppo a lungo nelle sue imponenti vicinanze, né l’agile schiuma delle sue amiche, anche di quelle più sincere, era mai riuscita del tutto a nascondere nei fondali del proprio essere un certo disagio.
Ma del resto, pensò mentre ordinava, faceva male a paragonarsi ad un galeone, troppo bello, capace di incutere rispetto, aurea di leggenda, pirati e maledizioni delle ultime lune, meglio una barcaccia, poco agile, goffa in ogni intervento, che iniziava una frase sentendola fuori posto, e la terminava con un sussurro, per poi riaffondare nell'alienante silenzio dei suoi abissi personali.
Poi certo il contorno non la aiutava, e sorseggiando la birra contemplò, mentre ascoltava distratta le confidenze su un ragazzo di una sua amica, il paesaggio sotto di lei, le macchine che passavano veloci, le luci dei lampioni, la fabbrica sul fiume, quasi alla kerouac, ma senza nessun american dream da violentare, solo piccole e forse meschine rotte alla ligabue su cui bisognava andare, ci si era stati messi senza possibilità di scegliere, o forse la si era scelta per un oscuro sentimento del dovere, e alla citazione involontaria sobbalzò, quasi imbarazzata nel non ricordarsi il nome di chi la aveva detto.
Per distrarsi, mentre continuava ad annuire all'amica, andò avanti a guardare le automobili ferme al semaforo poco sopra, che sembravano tante tombe luminose, con aria condizionata autoradio, che uscivano dal coma solo per sgommare via, e lei lì a guardare, si sentì sola, nonostante la compagnia ridente, ebbe voglia di sentirsi compianta, commiserata, ricacciò le lacrime, che venivano a tradimento, fuori bordo volle incolpare qualcuno, guardò le stelle ma non si vedevano, coperte dall’insegna del bar.